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Cosa si dice a Bruxelles su Nato, Trump, dazi e non solo

Atti, umori e scenari dai palazzi europei sulle ultime mosse di Trump. Estratto dal Mattinale Europeo.

 

L’Unione europea è quello che è. E’ l’organizzazione di integrazione regionale, politica ed economica, più di successo al mondo. E’ una potenza economica in termini di Pil. E’ un mercato di 450 milioni di persone. Ma non è uno Stato. Non ha una politica di difesa. Non ha una politica estera. Non ha una politica industriale. Non ha la deterrenza nucleare. Non ha capacità fiscale e di debito. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la quasi totalità dei suoi Stati membri ha mantenuto un legame di dipendenza con gli Stati Uniti per garantire la loro sicurezza. Dopo la guerra fredda, tutti i membri dell’Ue hanno proceduto al loro disarmo, spostando risorse dalla difesa verso il welfare state.

Il 24 febbraio del 2022 la Russia di Vladimir Putin ha messo fine alle loro illusioni, coltivate fino alla vigilia, sul superamento dell’era delle guerre in Europa grazie al diritto, al commercio, ai trattati e alla diplomazia. Con l’aggressione dell’Ucraina la guerra è tornata sul continente, una guerra imperialista e revanscista di restaurazione dell’impero sovietico, che minaccia direttamente paesi membri dell’Ue. Tre anni e quattro mesi dopo, sono stati fatti molti annunci e promesse. Dal vertice di Versailles del marzo del 2022 sull’autonomia strategica al discorso di Aquisgrana di Ursula von der Leyen a maggio sulla volontà di “costruire un’Europa indipendente”, passando per le evocazioni dell’Europa potenza di Emmanuel Macron. Ma l’Ue non si è ancora data i mezzi di sostenere l’Ucraina da sola o di proteggersi da sola. Gli europei hanno ancora bisogno degli Stati Uniti che, con Donald Trump, non si considerano più alleati.

Donald Trump “ha rotto alcuni principi tradizionali costitutivi della nostra alleanza”, spiega l’alto funzionario dell’Ue. “I leader hanno compreso cosa deve essere fatto. Abbiamo un’agenda molto forte sulla difesa. Ci sono differenze significative rispetto allo scorso gennaio”. In pochi mesi la Commissione ha lanciato il piano di riarmo da 800 miliardi di euro, di cui 150 miliardi di prestiti forniti attraverso lo strumento SAFE, approvato a tempo di record in 72 giorni. Il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione e all’Alto rappresentante, Kaja Kallas, di preparare una “road map” per i prossimi passi, da discutere al prossimo vertice europeo in ottobre. “Stiamo preparandoci per lo scenario peggiore”, dice l’alto funzionario. “Ma non accadrà domani. Non c’è una soluzione pronta a portata di mano”. Per costruire una difesa e una deterrenza europee credibili serve tempo e l’Ue è lenta per natura.

L’accordo alla Nato sul 5 per cento del Pil nella spesa per la difesa era il prezzo da pagare per un impegno che non ha prezzo: quello degli Stati Uniti per la loro sicurezza, scritto nell’articolo 5 del trattato Nato sulla difesa collettiva. Trump aveva nuovamente messo in dubbio l’impegno sull’Air Force One che lo ha portato all’Aia. La dichiarazione finale del vertice ribadisce “l’impegno ferreo per la difesa collettiva, sancito dall’Articolo 5 del Trattato di Washington, secondo cui un attacco a uno è un attacco a tutti. Rimaniamo uniti e risoluti nella nostra determinazione a proteggere il nostro miliardo di cittadini, difendere l’Alleanza e salvaguardare la nostra libertà e democrazia”. La dichiarazione menziona anche la Russia come “minaccia di lungo termine per la sicurezza euro-atlantica”. Non era scontato.

La grande paura degli europei è il venir meno dell’ombrello nucleare americano che è alla base della deterrenza contro la Russia in Europa. “Mai, mai, mai rimettere in discussione la deterrenza”, ci aveva detto il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, a inizio giugno in vista dei vertici del G7 e della Nato con Trump. L’altra paura è un ritiro, anche parziale, delle truppe americane presenti sul vecchio continente, nel momento in cui Putin potrebbe testare la volontà della Nato di difendere i suoi membri. Con Trump il rapporto con gli Stati Uniti è diventato “incerto e imprevedibile”, spiega l’alto funzionario dell’Ue. Vale per la difesa, come per il commercio.

Anche sull’economia la volontà dei leader dell’Ue è di non arrivare alla rottura. “Le nostre economie sono pienamente interconnesse”, dice l’alto funzionario. Al Consiglio europeo, i capi di Stato e di governo hanno dibattuto su concessioni e linee rosse nei negoziati sui dazi condotti dalla Commissione di Ursula von der Leyen. La presidente aveva provato a entrare in un rapporto di forza con Trump, quando ha imposto le misure di ritorsione sui dazi americani su alluminio e acciaio. Ma è stata costretta a fare marcia indietro di fronte ai timori di Francia, Italia e Irlanda di un dazio del 200 per cento sugli alcolici europei se la Commissione avesse osato imporre un dazio sul bourbon americano. Il colpo è stato duro. Von der Leyen ha rimesso nell’armadio il bazooka dello “strumento anti-coercizione” che permetterebbe di colpire il settore dei servizi americani. Ora nei negoziati la Commissione si ritrova in posizione di debolezza. E, pur essendo favorevole a un braccio di ferro, von der Leyen non vuole mostrare i muscoli senza la certezza di avere il sostegno dei principali governi.

Il fatto è che una maggioranza di paesi ha più paura delle conseguenze negative per le loro economie e per l’inflazione di un’escalation, anche breve, della guerra commerciale che degli effetti di lungo periodo dei dazi di Trump. L’Italia di Giorgia Meloni è pronta ad accettarlo. La Germania di Friedrich Merz spinge un accordo rapido, anche penalizzante, per ridurre l’incertezza e preservare alcune industrie tedesche. “Sostengo la Commissione europea in tutti i suoi sforzi anche per raggiungere rapidamente un accordo commerciale con gli Stati Uniti”, ha detto Merz. Così l’Ue potrebbe accettare un “accordo asimmetrico”, come quello del Regno Unito, vista la volontà di Trump di mantenere il “dazio di base” del 10 per cento per finanziare il bilancio federale. Come sulla difesa, anche sull’economia i leader dell’Ue assecondano Trump per guadagnare tempo. “Se si guarda alla competitività, a volte è lenta, ma c’è una chiara agenda di autonomia strategica dell’Ue”, dice l’Alto funzionario.

(Estratto dal Mattinale europeo)

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