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Perché non andrò a votare ai referendum

Buoni motivi per non andare ai referendum ci sono eccome e vale la pena di spiegarli. L'intervento di Alessandra Servidori.

 

La Costituzione Italiana è sempre tirata per la giacca a secondo di chi gli fa comodo. È il caso delle accuse più nobili a chi ha deciso di non andare – come chi scrive – a votare, poiché ricordo che la Carta esattamente dichiara che il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. L’articolo 48 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini maggiorenni, senza distinzione di sesso ed età, possono esprimere il proprio voto. Di fatto oggi l’astensionismo è stato, contrariamente al passato, riconosciuto nell’ambito di un comportamento legittimo del cittadino ridefinendo – con le leggi nn. 276 e 277 del 4 agosto 1993 – l’espressione del voto solamente come un diritto e non più come un diritto ed un dovere. Dunque una norma – giustamente abrogata nel 1992 –, la quale stabiliva che la menzione “non ha votato” fosse iscritta nei certificati di buona condotta per il periodo di cinque anni. In sostanza, andare a votare era sanzionato come un inadempimento a un obbligo civile.

Poi, diciamocela: la sinistra ha dato in almeno ben tre occasioni indicazioni di astensione al voto: nel referendum sulla giustizia del 2022 dove diede libertà di voto, nel 2003 a guida Fassino nel referendum Cgil sull’art 18 dello Statuto, nel 2017 sulle trivellazioni in mare lo stesso Renzi dette indicazione di astenersi al voto e Giorgio Napolitano difese l’astensione.

E poi, diciamocelo: buoni motivi per non andare ci sono eccome e vale la pena di spiegarli. Prima di tutto perché la Consulta ha ben scritto nella sentenza in cui ammette i cinque referendum che in caso di vittoria dei Sì l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non verrebbe abrogato, come dicono i promotori, poiché l’abrogazione del d.lgs. n. 23 del 2015 determinerebbe – è scritto nella sentenza del 7 gennaio 2025 della Consulta – la riespansione della disciplina di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel caso di abrogazione del dlgs n.23 / 2015, contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (cioè il famigerato Jobs Act), che è una parte della legge delega molto più complessa, e dunque la disciplina uniforme del licenziamento diverrebbe quella in vigore nell’articolo 18 novellato dalla legge n.92/2012 (la riforma Fornero del mercato del lavoro), che, nel caso del licenziamento per giustificati motivi oggettivi (economici) illegittimi, ha già messo in discussione la sanzione della reintegra, assumendo come dato generale il risarcimento economico, insieme a tutte le precedenti decisioni assunte a modifica della normativa del decreto n.23/2015 ai fini di una maggiore tutela del lavoratore ed elenca i casi in cui l’approvazione del quesito abrogativo determinerebbe un arretramento della tutela stessa.

La Consulta, con ben tre sentenze – una nel 2020 sulla tutela indennitaria altre due nel 2024 sulla tutela reintegratoria, e altre due sentenze sul licenziamento intimato e l’ampliamento della disciplina – afferma addirittura che la legge 23/ 2015 è molto più a tutela del lavoratore/lavoratrice. Il quesito del referendum in verità punta a massacrare la legge 23/2015 con una lotta di correnti tutta interna al Pd e cioè tra renziani (allora al governo) e i cosiddetti riformisti. Il Pd di Schlein oggi ha fatto male ad aggregarsi a Landini perché rischia ragionevolmente una sconfitta sperando invece in una vittoria para-congressuale che demolisca definitivamente Renzi, che in verità è già un fantasma.

L’altro quesito sulla prevenzione di salute e sicurezza sul lavoro è un altro pretesto per fare i conti interni alla sinistra. Infatti la materia è già, in parte consistente, risolta – certo, sulla carta – dall’Accordo Stato-Regioni approvato il 17 aprile scorso in Conferenza, che poi è stato rispolverato nell’incontro con Il governo l’8 maggio 2025 dove si è convenuto con sindacati landiniani di condividere un percorso dove le varie risorse già stanziate da Inail 600 milioni (Ente vigilato dal Ministero del lavoro), più altre risorse aggiunte dal Governo per la sicurezza devono essere sviluppate e applicate. Nell’Accordo dell’aprile scorso, esattamente il 17 aprile, come previsto dall’ art 37/ aprile 2008, n. 81, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, finalizzato all’individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza, di cui al medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008: in particolare l’allegato A ne specifica le novità fondamentali molto particolareggiate ed è utile sapere che già nel 2024 la Fondazione Consulenti del lavoro e l’Ordine avevano già sottoscritto con Inail un accordo sulla formazione a fine dicembre e già operativo.

Vero è che sarà utile seguire la qualità di questa formazione, in quanto la bozza di Accordo Stato-Regioni sulla sicurezza sul lavoro era previsto dell’articolo 37/ del d.lgs. n. 81/2008, però era già stato modificato dalla legge n. 215 del 2021, e in bozza congelato e non attuato ed è assolutamente importante, pur già essendo in ritardo.

Non andare a votare un pacchetto di referendum che sono presentati come salvifici della libertà e della sicurezza del lavoro alle cittadine e ai cittadini, quando nascondono un non senso, e la cancellazioni di soluzioni operative e normative è la scelta che intendo fare con capacità di intendere e volere e augurandomi che non si raggiunga il quorum del 50%+1 perché i referendum abrogativi prevedono “l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”: il referendum è fissato nella maggioranza degli aventi diritto al voto, inoltre deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

Ma, come scriveva Blaise Pascal, quando traballa la fede, l’esercizio scrupoloso dei riti aiuta a ritrovarla. Ma in questo caso non è questione di fede politica la mia, ma di saggia e ponderata decisione.

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