Il generale Vannacci sotto accusa per la crisi della Lega e Chiara Appendino che si dimette dal M5S in protesta contro Conte segnano specularmente il collasso dei corpi intermedi, lasciando le golden share di destra e sinistra a FDI e PD. Con una differenza, però: il partito di Giorgia Meloni mantiene un consenso inedito al terzo compleanno di governo, mentre raggiunge il podio dei più longevi della storia repubblicana con sondaggi che non segnano mai significative flessioni, anzi; quello di Elly Schlein, invece, alterna soddisfazioni e perplessità, animando una concorrenza interna sommessa ma potenzialmente insidiosa, in particolare quella di Pina Picierno, potenzialmente avvantaggiata dalla sua posizione di outsider (Meloni direbbe underdog). Cioè del fatto che quasi nessuno sappia chi è.
Entrambi i partiti, poi, devono fare i conti con una criticità più generale che si esprime nell’estemporaneo successo delle piazze e nel cronicizzato problema dell’astensione, due elementi che potrebbero convergere sul desiderio centrista, atavico vizio tricolore. La voglia di uscire dal bipolarismo a favore di una riedizione democristiana potrebbe trovare un nuovo interprete, un leader almeno momentaneo, dopo Monti, Draghi, Gentiloni, Letta, etc. Oggi su piazza ci sono Lupi, Tajani, Calenda, Ruffini, nessuno di loro pare nemmeno lontanamente in grado di fare da catalizzatore, ma mai dire mai.
In questo vago e confuso contesto, la mossa di Schlein di ieri era così scontata che non se ne comprende bene la ragione. Dire che Meloni è di estrema destra ed è un pericolo per la democrazia, legandola alla bomba sotto l’auto di Ranucci, è una bestemmia politica così assurda e blasfema che probabilmente, a dettargliela, è stata la voglia di superare a sinistra Landini e il suo “cortigiana”. Come l’ex capo della Cgil, anche l’ancora capa dei dem sa che queste sono palle facili da schiacciare per la sua avversaria ma, forse, conta proprio che così facendo, a forza di batti e ribatti, la premier si possa stancare e perda lucidità. E che, non avendo alternative credibili di immagine pubblica, non essendoci un solo membro dell’esecutivo in grado di sostituirla almeno occasionalmente, si logori il consenso che sostiene l’attuale maggioranza.
Sono solo parole, sono solo ipotesi. I fatti viaggiano da un’altra parte, in gran parte distanti dalle cose italiane, quasi irraggiungibili: in Russia, Medio Oriente, Africa dove si ammazzano i cristiani nell’indifferenza generale (vedi dati di Aiuto alla Chiesa che Soffre), Afghanistan e Pakistan che devono fare la pace (ma a Kabul ci sono i talebani), Sudamerica che non guarisce dalla debolezza istituzionale ed economica, Cindia e dintorni tra cui le Coree e Taiwan… I fatti di casa nostra, invece, restano sommersi nella comune consapevolezza che la mediocrità è purtroppo il nostro karma, il mood europeo, lo Zeitgeistoccidentale. Nemmeno gli aspiranti presidenti del Consiglio più sfrontati azzardano un serio tentativo di proporre soluzioni concrete e credibili per la depressione socio-economica, con produttività industriale e salari bassi, export afflitto da seri problemi e forti preoccupazioni, decremento demografico che mette a rischio spopolamento gran parte del territorio nazionale, asset che vanno anch’essi alla desertificazione digitalizzata come banche e commercio.
La coperta è cortissima, chiunque si metta a tirarla. Più facile provare sparare la bestemmia politica del giorno e vedere l’effetto che fa.