I francesi si arrabbiano per tutto. Non so più chi dicesse che “I francesi sono degli italiani di cattivo umore”. Ma gli italiani sono in generale più pazienti, meno pronti alla rivoluzione e alla decapitazione delle élite, più fatalisti, anche più sottomessi, anche se ricordo nei primi anni Duemila girotondi e caroselli contro Silvio Berlusconi che sfidavano le rappresentanze politiche (e che ottennero molto poco).
La rabbia francese, che c’è sempre stata, è esplosa in modo preoccupante a partire dal 2018 con il movimento dei Gilets jaunes, che viene lanciato anonimamente in rete e riesce ad organizzare una mobilitazione impressionante, con adesioni provenienti soprattutto dalla provincia peri-urbana francese.
Il motivo della rabbia è una tassa sul carburante adottata come misura ecologica, che fa esplodere le differenze tra campagna, zone peri-urbane e città, le prime due molto più dipendenti dall’automobile per gli spostamenti. I blocchi (tipicamente di strade e di rotonde) e le manifestazioni si moltiplicano ogni sabato fino ad arrivare a Parigi con una violenza inaudita: danni ai monumenti, auto incendiate, minacce di morte e decapitazione per il presidente Emmanuel Macron.
I Gilets jaunes sono un successo: le manifestazioni vanno avanti mesi e le rivendicazioni aumentano: ristabilire la tassa patrimoniale, parzialmente eliminata da Macron, giustizia fiscale, migliore livello di vita per le classi popolari e dimissioni di Macron. L’odio per il presidente si è già quindi installato nel 2018, a un anno appena dalla sua prima elezione.
In tanti anni che vivo in Francia non ho mai visto un presidente così odiato. Certo, è arrogante, è un pessimo comunicatore, è la caricatura dell’esponente delle élite liberali (passato da banchiere, esperto di finanza, a suo agio a Davos o in altri circoli esclusivi del potere globale).
Ma il cv di Macron non basta a giustificare l’odio viscerale, l’appello costante alla dimissione e addirittura alla decapitazione.
Con l’elezione del 2017, Macron ha rotto l’alternanza tranquilla destra/sinistra che permetteva di sfogare le passioni politiche in parlamento all’interno di un quadro ideologico ben definito. I partiti tradizionali si sono trovati annientati dalla sua nomina.
La lotta si sposta nelle strade, perché nessuno rappresenta più lo scontento dei cittadini.
E poi Macron provoca la rabbia degli sfigati descritta da Invernizzi: gli riesce tutto, è giovane, brillantissimo, elegante nel modo di parlare, a suo agio in inglese e in qualsiasi contesto internazionale, risolutamente liberale in una Francia che sogna ancora una social-democrazia che non può più permettersi. Perché l’invidia è il movente più forte della rabbia.
Il francese ha ideali social-democratici ma invidia le élite culturali, economiche e cittadine: ha gli stessi gusti materiali e simbolici degli alti funzionari che hanno fatto le buone università e abitano nel centro di Parigi.
Chi non è parte delle élite in questo paese si sente frustrato perché vive la sua non-appartenenza come un fallimento: non ce l’ha fatta a entrare nelle grandes-écoles, le università di eccellenza a cui si accede solo per concorso e per entrare bisogna essere i primi della classe, si sente respinto da Parigi, il cuore della Francia, centro economico, politico, culturale che spazza via tutta la provincia (l’Italia in questo è molto più equilibrata e distribuita), diventata troppo cara, si sente abbandonato dal potere centrale che ha preoccupazioni europee e internazionali e distoglie gli occhi dalla provincia.
I Gilets Jaunes durarono a lungo, furono in parte repressi dopo un sabato particolarmente violento nel marzo del 2019, ottennero l’eliminazione della tassa sul carburante e si estinsero completamente con l’arrivo del COVID.
Il nuovo movimento Bloquons-tout è fatto a immagine e somiglianza. E’ partito dal nulla, da qualche appello online, si è rapidamente esteso in tutta la Francia, chiede le dimissioni di Macron e in generale, che tutti vivano felici e contenti, cosa difficile da realizzare mettendo a fuoco e fiamme l’intero Paese.
Gli slogan sono di tutti i tipi: da quello predominante “Macron démission”, a Gaza libera, alla tassazione dei più ricchi. Mischiano dunque collera acefala, ideologie virali e richieste serie, come quella della tassazione delle grandi fortune, che è una proposta del partito socialista sostenuta da ottimi economisti (tra i quali il giovane e brillante Gabriel Zucman) e che sicuramente sarà argomento di discussione per il nuovo governo Lecornu.
Ma mettere tutto insieme non è particolarmente utile e se il disordine delle rivendicazioni è accompagnato dal caos e dalla violenza finiranno per ottenere poco, com’è stato per i Gilets Jaunes.
Alcuni video mostrano Jean-Luc Mélenchon e tanti membri della France Insoumise in piazza a manifestare. Benché il movimento, come quello dei Gilets Jaunes, sia stato rivendicato online da molti militanti dell’estrema destra, Marine Le Pen ha avuto il giudizio di non associarsi a questa nuova ondata.
(Estratto da Appunti di Stefano Feltri)