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Perché l’Antitrust strapazza Apple

L’Antitrust ha multato Apple per 98,6 milioni di euro per aver abusato della sua posizione dominante sull’App Store. Al centro del caso c'è la policy ATT, che ha costretto gli sviluppatori a una complicata doppia richiesta di consenso per l'uso dei dati pubblicitari, danneggiando inserzionisti e piattaforme con regole giudicate eccessive e non necessarie anche dal Garante Privacy. Tutti i dettagli

 

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha inferto un duro colpo ad Apple, irrogando una sanzione di oltre 98,6 milioni di euro alle società Apple Inc., Apple Distribution International Ltd e Apple Italia S.r.l..

La decisione arriva al termine di un’articolata istruttoria che ha accertato un abuso di posizione dominante nel mercato della distribuzione online di app per il sistema operativo iOS, dove Apple detiene una posizione di “assoluta dominanza” attraverso il proprio App Store che, di fatto, rappresenta l’unico canale di accesso per gli sviluppatori che intendono raggiungere i possessori di dispositivi iPhone e iPad.

IL MECCANISMO DELL’APP TRACKING TRANSPARENCY

Al centro del caso vi è la App Tracking Transparency (ATT) policy, introdotta da Apple nell’aprile 2021. Questa politica impone agli sviluppatori terzi l’obbligo di utilizzare una specifica schermata di sistema, definita ATT prompt, per richiedere agli utenti l’autorizzazione al tracciamento dei dati. Tale tracciamento è essenziale per raccogliere e collegare le informazioni necessarie alla personalizzazione della pubblicità in-app. Secondo l’Antitrust, Apple ha potuto imporre queste regole “unilateralmente” e “senza che gli stessi sviluppatori fossero in alcun modo preventivamente consultati”.

LA TRAPPOLA DELLA DUPLICAZIONE DEL CONSENSO

L’Agcm – si legge nel provvedimento – ha contestato ad Apple la creazione di una gravosa “duplicazione della richiesta di consenso”. Mentre gli sviluppatori sono già tenuti per legge a mostrare il proprio banner (CMP prompt) per raccogliere i dati, Apple ha imposto un secondo passaggio obbligatorio tramite il proprio prompt di sistema. Questa sovrapposizione è stata definita dal Garante privacy come “non necessaria sulla base della normativa vigente”.

Apple infatti avrebbe potuto garantire la medesima tutela dei dati con modalità meno restrittive, permettendo agli sviluppatori di ottenere il consenso “in un’unica soluzione”.

Nelle parole di alcuni operatori auditi, la scelta mediata dall’ATT prompt finisce per “sovrascrivere il consenso dato al CMP prompt”, impedendo l’accesso ai dati anche quando l’utente lo aveva inizialmente autorizzato nella schermata dello sviluppatore.

IL DANNO ECONOMICO PER GLI OPERATORI TERZI

Questa condotta ha generato un significativo danno economico per l’intero comparto del digital advertising. L’Autorità ha osservato che “i dati degli utenti costituiscono un elemento essenziale su cui si fonda la capacità di fare pubblicità online personalizzata”. Restringendo l’accesso a tali informazioni, la policy ha determinato una drastica riduzione dei tassi di consenso esclusivamente per i partner commerciali di Apple. Tale impatto risulta amplificato per gli operatori di minore dimensione, i quali, disponendo di meno dati proprietari, incontrano “maggiori difficoltà a profilare gli utenti a fini pubblicitari nel contesto creato dall’introduzione delle regole ATT”. Per molti inserzionisti, ciò ha comportato un aumento del costo di acquisizione dei clienti e una contestuale diminuzione dei ricavi.

IL VANTAGGIO DI APPLE E LA CRESCITA DI APPLE ADS

Mentre i soggetti terzi subivano perdite, le attività di Apple hanno registrato un andamento opposto. La divisione pubblicitaria della società, Apple Ads, essendo “non soggetta alle medesime stringenti regole”, ha beneficiato di un incremento straordinario dei ricavi e dei volumi di annunci intermediati. Inoltre, l’App Store ha tratto vantaggio dallo spostamento degli sviluppatori verso modelli di business fee-based, come gli acquisti in-app e gli abbonamenti, per compensare il calo degli introiti pubblicitari. Di conseguenza, il sistema di pagamenti di Apple è risultato essere “il maggior beneficiario dell’abbandono della monetizzazione supportata da annunci pubblicitari dettato dall’ATT”.

COSA HA DETTO IL GARANTE PRIVACY

Il Garante per la protezione dei dati personali, fa sapere l’Antitrust, ha chiarito che l’adozione dell’ATT policy è da attribuire a una “autonoma scelta imprenditoriale dell’impresa” e non a un obbligo di legge. Nel suo parere, l’Autorità per la privacy ha specificato che “nulla nella disciplina vigente precluderebbe al singolo sviluppatore di richiedere agli interessati […] tutti i consensi necessari in un’unica soluzione”. Apple ha invece imposto una soluzione rigida, limitando la discrezionalità dei singoli sviluppatori e inducendo un’ambiguità nella formulazione delle opzioni di scelta presentate agli utenti finali.

IL MANCATO RISPETTO DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ

L’istruttoria ha quindi concluso che le regole imposte non risultano proporzionate all’obiettivo di tutela della privacy dichiarato dalla società. L’Autorità infatti ha rilevato che “Apple avrebbe comunque potuto trovare una modalità meno restrittiva della concorrenza per garantire il medesimo livello di tutela della privacy dei propri utenti”. Invece, la società ha implementato misure eccessivamente onerose che non permettono agli sviluppatori terzi di ottenere un consenso valido ai fini della normativa in un’unica operazione, penalizzando ingiustificatamente la loro capacità competitiva.

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