E’ tanto lo squallore della sinistra (incluso l’aristocratico Pd) che una persona con la mia storia è tentato di falsificare il curriculum per dimostrare di non averci mai avuto a che fare. Ma sarebbe sbagliato per tanti motivi, il più importante dei quali è il seguente: le colpe dei figli non ricadono sui padri. Lo so, ho rovesciato il monito, ma non è colpa mia se i rapporti tra le generazioni si sono invertiti. Se dovessi fare l’elenco delle cose che non condivido della sinistra (ovviamente di quella riconducibile alla trojka che oggi la rappresenta) mi occorrerebbe lo spazio di un romanzo d’appendice e non quello di un articolo.
Ma c’è un aspetto che potrebbe riassumere tutte le critiche: la demonizzazione dell’avversario con la pretesa di una presunta superiorità morale che nel dibattito ha usurpato il posto dovuto alle carenze nell’iniziativa politica. La sinistra è dominata dalla rabbia che deriva dalla sua impotenza. E la rabbia è uno stato d’animo che ottunde la lucidità e che induce, in mancanza di argomenti, ad attribuire agli avversari politici disegni e propositi immaginari, frutto delle allucinazioni della sinistra. Il governo Meloni venne presentato come un nemico dell’Unione europea e un devastatore dei conti pubblici, per ritrovarsi invece indicato, dopo tre anni di vita, come un esempio di rigore finanziario, apprezzato da quegli organismi internazionali il cui giudizio incide sui mercati che decidono dell’affidabilità dell’economia di un Paese. Anche per quanto riguarda la politica europea e internazionale, l’Italia ha confermato con serietà e lealtà la linea di condotta e le alleanze tradizionali, ottenendone il riconoscimento dai partner.
Nell’attuale quadro geopolitico, un governo di sinistra non avrebbe garantito una coerenza all’altezza delle situazioni, per quanto riguarda tanto le crisi dell’Ucraina e della Palestina, quanto l’esigenza di dotare l’Unione, ormai orfana degli Usa, di una forza di difesa e deterrenza. Quanto ai pericoli per la democrazia e alla minaccia di autoritarismo, taluni errori commessi dalla maggioranza, sia per il metodo che per il merito, non mettono a rischio le istituzioni democratiche. C’è stato un fiorire di nuove fattispecie di reato che in verità sembrano gride manzoniane, perché risulteranno inefficaci, ma siamo lontani dal ritenere che, nella velleità di provvedere all’ordine e alla sicurezza, ci sia un progetto di mortificazione dei diritti di libertà.
Quanto alle riforme costituzionali, esse seguiranno il percorso rigido indicato dalla Carta, saranno sottoposte a referendum confermativo senza il vincolo del quorum. Venendo, poi, alla valutazione politica, se il premierato e l’autonomia differenziata sono discutibili, ciò non significa che mettano a rischio la democrazia; mentre, per quanto riguarda la giustizia, la separazione delle carriere, proprio per il suo significato emblematico/politico prima ancora che per i suoi effetti giuridici, costituirà una seconda lotta di liberazione contro un potere anomalo e incontrollato, spesso con tendenze golpiste, che minaccia la democrazia e il vivere civile. Complici di un autoritarismo strisciantesaranno le forze politiche succubi della Anm.
L’ultimo episodio del deragliamento della sinistra riguarda l’aver inventato un piano di Giorgia Meloni per farsi eleggere al Quirinale nel 2029. Il copyright della provocazione appartiene a Matteo Renzi che ha messo in giro nel dibattito politico questa ipotesi come se fosse una drammatica prospettiva da evitare con ogni mezzo perché rappresenterebbe un pericolo per la Repubblica. In verità Renzi parla per sé, perché se c’è stato nella storia recente un tentativo di egemonia impropria e indiretta lo si è dovuto alla riforma della Costituzione commissionata a Maria Elena Boschi in sinergia con la legge elettorale che la seguì nella spazzatura grazie al voto degli italiani. Francesco Boccia, nominato Joe lo Svelto, è caduto subito nella trappola e ha dichiarato che ‘’Meloni vuole i pieni poteri. Va fermata con il referendum sulla giustizia”.
Anche ammesso che Giorgia Meloni sia tanto ingenua da ipotizzare ciò che potrebbe capitare tra 4 anni in una fase storica in cui le situazioni cambiano nel giro di qualche ora, quando due anni prima avranno luogo le elezioni politiche, come potrebbe ottenere i pieni poteri salendo al Quirinale? Forse mandando i corazzieri adoccupare la Rai per leggere il proclama golpista, quando sarebbe La 7 a chiamare in piazza i cittadini in difesa della democrazia? Peraltro si dice che il premierato sottrarrebbe ruoli e funzioni al capo dello Stato, per cui non si capirebbe per quali motivi, la premier dovrebbe rinunciare ad una fetta di quel potere a cui ambisce. Si vede proprio che in Italia la crisi della natalità non riguarda le madri degli imbecilli che sono sempre incinte. Ricordo che negli anni ’70, in occasione del referendum sulla legge per il divorzio, mentre il fronte del NO a difesa della legge voleva a tutti i costi – con in testa il Pci – evitare una guerra di religione, la sinistra extra parlamentare si discostava e puntava sullo sberleffo: il Pdup-Manifesto presentò un Amintore Fanfani in abito bianco da sposa e bouquet a braccetto di Almirante in divisa nera: «Contro questo matrimonio vota No!» era scritto sui manifesti. Lotta Continua, anch’essa riferendosi al sodalizio Dc-Msi coniò il neologismo Fanfascismo, che ebbe notevole risonanza nel popolo della sinistra. Addirittura fu composta una ballata sull’aria di una canzone di Giorgio Gaber: “Ma per fortuna che c’è Fanfani/ che prepara grandi piani!/Non è di grande compagnia/ Ma è il più fascista che ci sia!”. Il Pci non si fece trascinare dalla facile invettiva.
In quel contesto capitò un evento significativo, di cui io fui testimone. Durante una riunione del Comitato direttivo della Fiom di Roma, alcuni militanti della sinistra estrema proposero e chiesero la votazione di un odg con tanto di ‘’fanfascismo’’; il segretario comunista (in odore di simpatie proibite) lasciò che fosse approvato. Insorsero il partito romano e la Camera del Lavoro, chiedendone la testa. Così il segretario passò ad altro incarico, e al suo posto fu eletto l’aggiunto socialista che durante il dibattito sul Fanfascismo aveva capito l’antifona e si era opposto. Certo, qualcuno in questa vicenda potrebbe trovare degli aspetti discutibili. E’ indubbio, però, che il Pci di allora aveva una propria linea, sapeva difenderla e non inseguiva a perdifiato, al pari dei suoi pronipoti di oggi, ogni flatulenza come se fosse una folata di aria fresca.