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Beppe Sala e non solo, la bella lezione garantista di Meloni al Pd giustizialista

Le parole di Meloni suonano come una lezione di garantismo al Pd e al resto della sinistra estremista e da sempre giustizialista. La nota di Sacchi.

Giorgia Meloni a sorpresa in un’intervista al Tg1 sottolinea: “Penso che la magistratura debba fare il suo corso. Per quanto riguarda il sindaco, io non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia porti l’automatismo delle dimissioni”. E aggiunge: “Credo siano scelte che il sindaco debba fare sulla base della sua capacità, in questo scenario, di governare al meglio. Non cambio posizione in base al colore politico degli indagati”.

Sul terremoto giudiziario abbattutosi su Milano con l’inchiesta urbanistica che vede indagato anche il sindaco del Pd Beppe Sala, le parole del premier che è anche presidente di FdI suonano come una lezione di garantismo al Pd e al resto della sinistra estremista e da sempre giustizialista. Ovvero quel campo largo comprensivo dei Cinque Stelle che solo un’estate fa con i suoi leader si presentò in piazza a Genova per chiedere le dimissioni di Giovanni Toti, agli arresti domiciliari.

I volti di Schlein, Fratoianni, Bonelli, Conte che urlavano in piazza la richiesta del passo indietro dell’ancora governatore ligure per andare a nuove elezioni e “rinnovare” la Liguria siglarono una delle pagine peggiori delle performance di una sinistra da sempre “forcaiola”. Ora è vero che richieste di dimissioni di Sala vengono anche dallo stesso partito di Meloni e dalla Lega. Ma la critica è politica, tutti premettono che Sala è stato bocciato dal suo stesso operato.

Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, cofondatore di FdI: “Io non chiedo mai le dimissioni quando inizia un procedimento che peraltro non so fino a che punto lo riguardi personalmente”, ma “sicuramente la giunta Sala ha dimostrato di non essere adeguata a Milano”. Lega e Fratelli d’Italia invocano le dimissioni del sindaco, mentre Forza Italia, pur ribadendo il proprio garantismo, auspica una svolta. È insomma il giudizio politico negativo sull’operato di Sala alla base della richiesta di dimissioni, non il merito della vicenda giudiziaria, scagliata invece dalle opposizioni contro Toti.

In tutto questo, mentre la segretaria dem, Elly Schlein, sente al telefono Sala per esprimergli “solidarietà e vicinanza”, a menare le danze nel cosiddetto campo largo è di nuovo il leader pentastellato, Giuseppe Conte, campione di giustizialismo. Che tuona: “Il Movimento Cinque Stelle non fa sconti a nessuno per quanto riguarda la legalità e l’etica pubblica”. Ma a far rumore a destra, oltre che l’uscita a sorpresa del premier, è anche l’affondo garantista del ministro della Difesa, Guido Crosetto: “Continuo a pensare che la magistratura non debba e non possa sostituirsi al corpo elettorale. A Milano una parte della magistratura inquirente ha anche deciso di sostituirsi al legislatore, nel campo dell’urbanistica, del fisco, del lavoro, attraverso interpretazioni normative che a me sembrano, in molte parti, lontane dalle disposizioni di legge ed anzi molto pericolose”.

Leghisti e meloniani intanto chiedono in un movimentato consiglio comunale a Palazzo Marino il passo indietro di Sala. Ma, come precisa Matteo Salvini, “non per la vicenda giudiziaria, ma per l’immobilismo prolungato della giunta”. E Antonio Tajani: “Siamo garantisti, ma Milano deve andare avanti”.

Forti critiche politiche, non quella sorta di sentenza morale a prescindere che la sinistra agitò contro Toti. Per il quale Matteo Renzi non usò le parole che riserva a Sala al quale riconosce “la dote dell’onestà”. Il garantismo a targhe alterne che riguarda tutti, anche la destra e il centrodestra, ma nel quale la sinistra sembra sempre di gran lunga la più specializzata.

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