Tombola fuori stagione, diciamo così, a Milano. Dove nessuno, ma proprio nessuno degli arresti ottenuti dall’accusa nelle indagini sull’urbanistica chiamate in vario modo- Palazzopoli, Pirellinpopoli, Affaropoli, Lussopoli e via declinando- ha retto al passaggio del tribunale del riesame. Neppure quello del costruttore Manfredi Catella, liberato per ultimo ieri dalla custodia domiciliare come, prima di lui, l’ex assessore all’UrbanisticaGiancarlo Tancredi, Giuseppe Marinoni, Federico Pella, Alessandro Scandurra e Andrea Bizzicchieri, l’unico ad avere provato il carcere davvero.
Salvo complicazioni, e nei tempi ordinariamente lunghi della giustizia di rito italiano, e non solo ambrosiano, i liberati riusciranno ad andare liberi al processo. Ma intanto hanno dovuto subire il bagno dello sputtanamento. E chissà quale altro li aspetterà nell’espletamento delle loro professioni, per alcuni di loro già interdette con misure sostitutive dell’arresto.
Manfredi Catella (nella foto) già di suo più elegante e aitante del suo amico Beppe Sala, si porterà addosso ormai per tutta la vita la leggenda, ricavata dalla solita intercettazione fuori contesto, al limite fra il reale e lo scherzo, di essere stato in pieno, clamoroso conflitto d’interessi il vero sindaco della Milano dei grattacieli, annessi e connessi. Con Sala, sinora fra i tanti indagati, ridotto ad un prestanome con la complicità di tutti gli elettori che lo hanno portato a Palazzo Marino.
Chissà perchè, forse stimolato, dirottato o altro ancora da una intervista appena letta sul Corriere della Sera, e rilasciata nella sua residenza campestre in Molise, alla notizia della tombola, ripeto, al tribunale del riesame di Milano il mio pensiero è andato ad Antonio Di Pietro. Che, con l’esperienza fattasi a Milano e altrove come sostituto procuratore, all’esplosione delle indagini sull’urbanistica ambrosiana è stato il primo, o fra i primi, ad essere colto da dubbi e ad esprimerli pubblicamente col suo solito ricorso ad immagini o espressioni ruspanti, ad effetto come la domanda che opponeva ai suoi tempi giudiziari agli interlocutori: “Che ci azzecca?”. Stavolta egli ha opposto alla proliferazione della fantasia e dei sospetti sui grattacieli di Milano progettati ed eseguiti da architetti e costruttori di una certa dimensione e notorietà ricordando che certe imprese non sono da “geometra di Canicattì”.
Prima ancora dell’esplosione urbanistica di o a Milano, quando neppure aveva dismesso la toga per farsi tentare dalla politica, nella quale il suo capo Francesco Saverio Borrelli si augurava più o meno pubblicamente che trovasse finalmente la pace, l’inquieto Di Pietro, Tonino per gli amici, era diventato guardingo verso i suoi colleghi. Aveva cominciato a chiamare sarcasticamente “dipietrini” i magistrati che lo imitavano un po’ dappertutto nella caccia alle tangenti nella quale lui si era specializzato a Milano. Moltiplicandone i risultati con le doti “informatiche” che sorpresero anche Borrelli. Non tutti insomma sono davvero Di Pietro, specie da quando lo stesso Tonino ha cominciato ad avvertire dubbi sulla sua epopea.