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Israele-Hamas, tutti i punti dell’accordo

Cosa cambia dopo l'accordo tra Israele e Hamas annunciato da Trump. Fatti, incognite e scenari

Un accordo storico è stato raggiunto tra Israele e Hamas a Sharm el-Sheikh, in Egitto, per un cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi e prigionieri, segnando un potenziale punto di svolta nella guerra di Gaza. Come riportato dal New York Times, l’intesa rappresenta la prima fase del piano in 20 punti proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a porre fine a un conflitto durato due anni. Tuttavia, i dettagli dell’accordo rimangono vaghi, e le prospettive di una pace duratura sono ancora incerte.

Le concessioni delle parti

Come scrive il New York Times, l’accordo prevede il rilascio di circa 20 ostaggi israeliani ancora vivi, catturati da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023, insieme ai resti di circa 28 ostaggi deceduti, in cambio della liberazione di 250 prigionieri palestinesi con condanne a vita e 1.700 gazawi detenuti durante la guerra.

Stando a Bloomberg, Israele si è impegnata a ritirare le sue truppe verso una linea concordata, anche se non è chiaro dove questa linea sarà tracciata, poiché le dichiarazioni iniziali israeliane non menzionano esplicitamente un ritiro. Inoltre, secondo il Guardian l’intesa permette la ripresa degli aiuti umanitari a Gaza, un punto cruciale per Hamas e i mediatori come il Qatar.

Hamas, da parte sua, ha accettato di rilasciare tutti gli ostaggi, vivi e morti, entro 72 ore dall’approvazione dell’accordo da parte del governo israeliano, come indicato da una fonte del gruppo terroristico citata da Reuters. Tuttavia, ha respinto categoricamente la richiesta di disarmo avanzata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, una condizione che non appare nelle dichiarazioni ufficiali di nessuna delle parti, come osserva il New York Times.

Inoltre, come scrive il Financial Times, Hamas ha accettato di cedere il controllo di Gaza, che governa dal 2007, a un comitato di tecnocrati palestinesi sotto la supervisione di un organismo internazionale guidato da Trump.

I negoziatori e i mediatori

Le trattative, condotte indirettamente a Sharm el-Sheikh, hanno visto la partecipazione di figure chiave. Per gli Stati Uniti, il presidente Trump ha inviato il suo inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero Jared Kushner, che ha contribuito a redigere il piano.

Israele ha delegato Ron Dermer, uno dei più stretti consiglieri di Netanyahu, mentre il Qatar ha schierato il primo ministro Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani.

La Turchia, che ospita funzionari politici di Hamas, ha inviato il capo dell’intelligence İbrahim Kalin. L’Egitto, insieme a Qatar e Turchia, ha svolto un ruolo cruciale come mediatore.

Il ruolo di Trump

Donald Trump ha avuto un ruolo centrale nel negoziato, esercitando pressioni su entrambe le parti per raggiungere un’intesa. Come riportato dal New York Times, Trump ha minacciato Hamas di gravi conseguenze se non avesse accettato l’accordo entro domenica, spingendo il gruppo a dichiararsi pronto a rilasciare gli ostaggi e a negoziare i dettagli del piano.

In un’intervista a Fox News, Trump ha annunciato che gli ostaggi saranno probabilmente liberati lunedì e ha espresso fiducia in una pace duratura, affermando che “Gaza sarà un luogo molto più sicuro”. Il presidente ha anche suggerito la possibilità di recarsi in Egitto e Israele per celebrare l’accordo, con un possibile discorso al parlamento israeliano, la Knesset, come riportato da Bloomberg.

Come scrive il Guardian, Trump ha definito l’intesa un “grande giorno” per il mondo arabo e musulmano, Israele e gli Stati Uniti, ringraziando i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia.

Secondo Aaron David Miller del Carnegie Endowment, citato dal New York Times, il successo di Trump è dovuto alla sua capacità di esercitare una pressione senza precedenti anche su Netanyahu, costringendolo a sostenere il piano nonostante le resistenze interne.

Il piano di Trump prevede anche la creazione di un “Consiglio di Pace” per supervisionare la governance di Gaza, un’idea che include un comitato di tecnocrati palestinesi ma esclude un ruolo per Hamas.

La posizione di Netanyahu

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto l’accordo come una “vittoria diplomatica, nazionale e morale” per Israele, dichiarando, con parole riportate da Reuters, che “tutti gli ostaggi torneranno a casa”.

Tuttavia, come osserva il Financial Times, Netanyahu ha modificato alcune parti del piano di Trump, riducendo i riferimenti all’Autorità Palestinese (AP) e alterando i dettagli sul ritiro delle truppe, suscitando preoccupazioni tra gli stati arabi che vedono nell’AP un attore chiave per la legittimità della transizione a Gaza.

Secondo Reuters, Netanyahu ha anche ribadito il suo rifiuto categorico di un ruolo futuro per Hamas e di uno stato palestinese, una posizione che potrebbe compromettere le fasi successive del piano.

La posizione di Hamas

Come scrive il Guardian, Hamas ha confermato l’accordo, sottolineando che include il ritiro israeliano da Gaza, lo scambio di prigionieri e ostaggi e la ripresa degli aiuti umanitari. Tuttavia, il gruppo ha espresso cautela, chiedendo garanzie internazionali per l’attuazione dell’accordo, citando precedenti violazioni da parte di Israele, secondo quanto riferito dal Financial Times.

Secondo Reuters, Hamas ha anche respinto l’idea di disarmarsi finché le truppe israeliane occupano il territorio palestinese e ha escluso un ruolo per figure straniere, come l’ex primo ministro britannico Tony Blair, nella governance post-bellica di Gaza.

Il leader Khalil al-Hayya, parlando ad Al-Qahera, ha enfatizzato la necessità di proteggere i “diritti nazionali” palestinesi fino al raggiungimento di “libertà, indipendenza e autodeterminazione”, secondo quanto riportato da Bloomberg.

Prospettive e incognite

Nonostante l’ottimismo, molte questioni rimangono irrisolte. Come scrive Reuters, l’accordo manca di dettagli su tempistiche, governance post-bellica e disarmo di Hamas, e la sua fragilità è sottolineata da precedenti fallimenti nei negoziati.

Inoltre, il Financial Times riporta che la liberazione di figure palestinesi di spicco, come Marwan Barghouti, potrebbe incontrare il veto nel governo di Netanyahu.

A Gaza, la popolazione ha accolto la notizia con speranza mista a scetticismo, come espresso da Montaser Bahja, un insegnante sfollato a Khan Younis, che al New York Times ha parlato di “gioia per la fine della guerra e dolore per tutto ciò che abbiamo perso”.

A Tel Aviv, le famiglie degli ostaggi hanno festeggiato, con alcuni che secondo il Guardian hanno inneggiato al “Premio Nobel per Trump”.

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