Negli ultimi anni si è registrata una profonda trasformazione nel panorama globale del settore biofarmaceutico. Un’ondata crescente di accordi di licenza tra aziende cinesi e grandi multinazionali occidentali sta ridisegnando gli equilibri, con la Cina che emerge come attore centrale nello sviluppo di farmaci innovativi anche grazie al contesto regolatorio che ne ha facilitato l’ascesa.
Allo stesso tempo, il ridimensionamento dei finanziamenti pubblici negli Stati Uniti potrebbe rallentare la leadership americana, lasciando spazio a una nuova geografia dell’innovazione medica.
L’AVANZATA CINESE NELLA BIOFARMACEUTICA GLOBALE
Negli ultimi anni, osserva Quartz, la Cina ha accelerato lo sviluppo della propria industria biofarmaceutica, supportata da una strategia nazionale decennale che ha puntato sulla rapidità e sull’efficienza nella produzione di farmaci. Questo sforzo ha già prodotto risultati tangibili: oggi circa il 40% di tutti gli accordi di licenza a livello globale proviene dalla Cina, un dato in netto aumento rispetto al 3% di appena cinque anni fa. Come riporta Evaluate Pharma, si tratta di una crescita significativa che riflette l’evoluzione tecnologica e industriale del settore farmaceutico cinese.
GLI INVESTIMENTI DELLE BIG PHARMA OCCIDENTALI IN ASIA
Un’analisi pubblicata su Nature mostra inoltre che 11 grandi aziende farmaceutiche globali – tra cui AstraZeneca, Merck, Bristol Myers Squibb (BMS), GSK, Eli Lilly e Sanofi – hanno investito complessivamente oltre 150 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2025 in accordi di licenza e partnership di ricerca e sviluppo con aziende asiatiche. Di questi, circa 100 miliardi di dollari sono stati destinati ad asset cinesi, pari al 65% del totale.
LE AZIENDE PIÙ ATTIVE
Merck è l’azienda che ha effettuato gli investimenti più consistenti, con oltre 40 miliardi di dollari impegnati, inclusi 6 miliardi in pagamenti iniziali e partecipazioni. AstraZeneca la segue con 25 miliardi, mentre BMS ha investito oltre 22 miliardi.
In termini di impatto sulle pipeline cliniche, spiega Nature, GSK detiene la quota più alta di asset asiatici, circa il 10%, seguita da AstraZeneca e Merck con una quota stimata dell’8,5%. Al contrario, aziende come Johnson & Johnson, Pfizer e Roche mantengono una presenza più limitata, con quote comprese tra il 2% e il 3%.
IL FOCUS ONCOLOGICO E LE PIATTAFORME TECNOLOGICHE AVANZATE
La maggior parte degli accordi è focalizzata sull’oncologia, settore che nel 2024 rappresentava circa il 60% degli asset clinici cinesi e il 55% delle licenze. Altri settori di investimento, aggiunge la rivista scientifica, includono le terapie per le malattie cardiometaboliche (15 miliardi di dollari) e l’immunologia (8 miliardi). Le neuroscienze restano invece marginali nel contesto cinese, dove non sono stati ancora chiusi accordi rilevanti con le principali aziende globali.
L’IMPATTO DELLE RIFORME REGOLATORIE IN CINA
L’evoluzione del settore biotech cinese è stata agevolata anche da importanti riforme normative. Le linee guida del 2015 per la revisione dei farmaci e la revisione del 2020 del regolamento sulla registrazione hanno introdotto percorsi accelerati per l’approvazione dei nuovi medicinali. Questo ha permesso alla Cina di posizionarsi come fonte strategica di asset clinici “leapfrog”, capaci cioè di superare le tradizionali fasi intermedie di sviluppo.
IL CALO DEGLI INVESTIMENTI BIOMEDICI NEGLI STATI UNITI
In parallelo all’espansione cinese, gli Stati Uniti stanno affrontando una contrazione nei finanziamenti federali alla ricerca medica. Come riportato da Inside Higher Ed, l’amministrazione Trump ha proposto una riduzione del 40% del bilancio del National Institutes of Health (NIH), la cancellazione di 500 milioni di dollari destinati allo sviluppo di vaccini mRNA e il congelamento di numerose sovvenzioni a università e centri di ricerca. Tali misure, unite ai tagli al personale della Food and Drug Administration (Fda), rischiano di rallentare l’innovazione e alimentare una fuga di cervelli.
INIZIATIVE LEGISLATIVE E RISPOSTE POLITICHE NEGLI USA
Ad aprile, una commissione indipendente ha raccomandato al Congresso e alla Casa Bianca di stanziare almeno 15 miliardi di dollari in cinque anni per stimolare investimenti privati nel biotech americano. Intanto, il Congresso si prepara a rilanciare il Biosecure Act, una misura che potrebbe limitare la partecipazione delle “aziende biotech cinesi problematiche” alla ricerca finanziata con fondi pubblici. Il dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) ha sottolineato l’intenzione di rifocalizzare gli investimenti su tecnologie come i sistemi radar per la rilevazione di bio-minacce, in linea con le priorità dell’amministrazione Trump.
LE PROSPETTIVE FUTURE TRA OPPORTUNITÀ E SFIDE
Il contesto attuale, segnato dal cosiddetto “patent cliff” (ovvero la scadenza dei brevetti e il conseguente brusco calo delle vendite) previsto tra il 2025 e il 2030, spinge le grandi aziende farmaceutiche globali a cercare nuovi asset per sostituire i brevetti in scadenza. In questo scenario, le biotech cinesi rappresentano una risorsa sempre più cruciale.
Tuttavia, secondo Nature, la sfida sarà andare oltre la produzione di farmaci migliorati rispetto a quelli esistenti e iniziare a sviluppare vere innovazioni terapeutiche, che possono cambiare gli standard di cura a livello globale. Anche la necessità di diversificare le pipeline oltre l’oncologia, investendo in aree come neurologia, malattie respiratorie e autoimmuni, sarà determinante per mantenere un ruolo centrale nel panorama globale.