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Quanto costerà all’Italia la guerra in Ucraina?

Fatti e cifre (da Bankitalia) dell'impatto della guerra russo-ucraina sull'economia italiana. L'analisi di Giuseppe Liturri.

 

Da venerdì, grazie al bollettino economico della Banca d’Italia, abbiamo finalmente a disposizione delle cifre per capire l’impatto sull’economia italiana della guerra russo-ucraina.

Fatta la doverosa premessa che si tratta di scenari soggetti ad elevata variabilità, almeno abbiamo un primo perimetro entro cui fare il conto dei danni che potrebbe pagare il nostro Paese.

Da Bankitalia abbiamo conferma dell’elevata asimmetria con cui saranno colpiti i diversi Paesi. L’impatto per l’Italia è serio ed è, accanto a Germania, Svizzera e Turchia, tra i Paesi più esposti sotto un doppio profilo: quello dell’export e quello dell’import. La domanda russa di beni italiani rappresenta lo 0,6% del PIL, importo non proprio modesto che diventa ancor più rilevante considerando che nel complesso, quasi 1.200 imprese, principalmente di piccola e media dimensione, vendono sul mercato russo più del 10 per cento della loro produzione. Il profilo dell’import è ancora più preoccupante: infatti la Russia pesa per il 7% dell’input di prodotti energetici, materie prime e metalli. 13,4 miliardi di importazioni molto concentrate su alcuni prodotti, tra cui il gas. Con riferimento a questo input produttivo – ricordiamo che la maggioranza dell’import serve per alimentare le centrali elettriche e le industrie, ben più che il riscaldamento di case ed uffici – Bankitalia stima che potrebbe essere possibile recuperare i due quinti della fornitura russa entro la fine del 2022 con soluzioni alternative. Manca quindi all’appello più della metà del gas di cui potrebbero interrompersi le forniture a maggio, secondo uno scenario avverso delineato dai tecnici di via Nazionale.

Sulla base di tale premessa, tale scenario (definito come il più grave, tra i tre ipotizzati) prevede un andamento del PIL che nel 2022 e 2023 mostra un evidente segno meno, sia pure intorno al mezzo punto percentuale, con l’inflazione che sfiorerebbe l’8% nel 2022 per poi flettere nel 2023.

L’aspetto più preoccupante di tale analisi lo si ottiene considerando il punto di partenza. Infatti, solo a gennaio Bankitalia stimava una crescita di poco inferiore al 4% (ricordiamo che il governo a settembre stimava uno stellare 4,7%). Oggi Bankitalia prevede che nel migliore dei casi, cioè la cessazione immediata delle ostilità, la crescita si attesterà al 3%. Lo scenario intermedio – prosecuzione della guerra ed inasprimento delle sanzioni con effetti su domanda ed investimenti fino al termine del 2022 – prevede una crescita del PIL del 2,2%, con inflazione al 5,6%.

Quindi – facendo la differenza tra lo scenario di gennaio ed il peggiore presentato da Bankitalia – la guerra e, soprattutto, le conseguenze delle sanzioni sugli scambi con la Russia e sul clima di fiducia di imprese e famiglie, taglierà la crescita di poco più di 4 punti percentuali, circa 75 miliardi solo nel 2022. Ma anche limitandosi a fare la differenza tra lo scenario migliore e quello peggiore, la perdita di PIL nel 2022 ruota intorno a 3,5 punti percentuali, circa 60 miliardi.

Questi numeri vanno incrociati con le previsioni appena pubblicate dal governo nel DEF solo due giorni prima rispetto al bollettino di Bankitalia. Tali dati appaiono, dopo appena 48 ore, la raffigurazione di un mondo che non c’è più. Infatti dal MEF hanno ipotizzato una crescita programmatica del 3,1% nel 2022, cioè quella prevista da Bankitalia nello scenario migliore che, alla luce delle notizie dell’inasprimento dello scontro sia a livello militare che economico – finanziario, appare ormai scomparsa dai radar.

Ad oggi, lo scenario centrale di crescita al 2,2% appare già una chimera difficilmente raggiungibile. Anche alla luce del calo del PIL previsto nel primo trimestre del 2022, previsto al 0,7% con probabilità di oscillazione di 0,5% intorno a questo dato.

Il nostro Paese si presenta davanti a questa nuova impegnativa prova ancora piegato sulle ginocchia. Infatti, non abbiamo recuperato né il livello di occupati e né il livello di ore lavorate preesistenti alla crisi Covid. Il Paese si è retto in questi mesi sul settore delle costruzioni (risollevato dai vari bonus edilizi) che, nel quarto trimestre 2021 sono cresciute ancora del 3,8% rispetto al terzo e hanno messo a segno un’invidiabile crescita del 22,3% nel 2021 rispetto al 2020, trainando di fatto la ripresa.

Davanti a tale panorama, stenta a farsi largo il ruolo dello Stato. Il deficit/PIL previsto nel DEF per il 2022 è pari al 5,6%, contro il 7,2% del 2020. Quel 5,6% significa che per le emergenze del 2022 si è aperto un modesto spazio di appena mezzo punto di PIL (circa 9 miliardi) che per metà è stato già assorbito dai 3 decreti legge di questi primi mesi (16 miliardi le uscite previste). Resta quindi la briciola di circa 5 miliardi, con cui fare fronte a decine di miliardi di PIL che rischiano di dissolversi nel nulla.

Nonostante sia ancora operante la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, il DEF presentato da Daniele Franco è perfettamente instradato lungo il sentiero che avrebbe dovuto seguire se il Patto fosse stato pienamente operante: una marcia a tappe forzate verso l’avanzo primario di bilancio. Valga per tutti il dato sulla pressione fiscale, salita nel 2021 al 43,5% del PIL, dal 42,3% del 2019. Ed è davvero debole la giustificazione veicolata in questi giorni da Palazzo Chigi, secondo la quale tale prudenza sarebbe motivata da un presunto “intervento europeo” che dovrebbe materializzarsi tra maggio e giugno.

Se tale intervento avesse la stessa tempestività del Recovery Fund che dopo quasi due anni dal varo ha erogato la misera cifra di 74 miliardi (nulla rispetto al PIL della UE) su 750 miliardi promessi, allora potremmo dormire sonni tranquilli. Quelli da cui non ci risveglia più.

Questo è il conto che attende gli italiani a cui vorremmo fosse almeno raccontata la verità, come si fa con gli adulti: si tratta di un conto che, verosimilmente, non consentirà di ottenere la pace ma sarà solo il costo del proseguimento della guerra.

Giusta o sbagliata che sia questa scelta – non ci arroghiamo la competenza per valutazioni politiche – vorremmo che almeno fosse chiaro per quale motivo pagheremo questo conto. Ammesso e non concesso che sia solo questo.

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