La maggioranza di destra cambia le regole per favorire Caltagirone e Milleri già nel 2024, con il “disegno di legge capitali” che serve a dare più potere agli azionisti di lungo periodo rispetto alla percentuale di azioni davvero detenuta.
Già all’epoca, il Financial Times osservava che il beneficiario evidente della norma era Caltagirone che puntava ad accrescere la sua influenza in Mediobanca per conquistare Generali, sulla quale la banca milanese esercita un’influenza decisiva con il 13 per cento delle azioni.
Poi il governo gestisce la vendita di azioni di Monte dei Paschi in modo che queste arrivino a Caltagirone e Milleri, che così possono usare la banca di Siena e lo scudo governativo per fare quello che la normativa europea impedisce loro, cioè prendere il controllo di una banca anche se sono imprenditori industriali.
La BCE non vuole che i potenziali debitori di un istituto di credito siano anche quelli che decidono se e a chi erogare prestiti.
Caltagirone, che è azionista di Monte Paschi, è comunque anche debitore verso la banca di 741 milioni di euro, si legge nelle carte della Procura.
Il 13 novembre 2024 il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti avvia la procedura per la vendita del 15 per cento delle azioni del Monte dei Paschi che deve dismettere dopo il salvataggio pubblico.
La procedura è poco trasparente, si chiama accelerated bookbuilding, in pratica si cerca di vendere le azioni a blocchi ad alcuni soggetti. Il ministero delega il tutto a un soggetto poco adatto, cioè la piccola Banca Akros, che non ha esperienza e capitali sufficienti, ma è sotto il controllo del Banco BPM, una banca che è al centro dei piani governativi.
Caltagirone e Delfin acquistano con questa procedura il 3,5 per cento dei Monte dei Paschi di Siena, un altro 3 per cento lo compra Anima Holding, che già era azionista del Monte Paschi e che è anch’essa sotto l’influenza di Caltagirone.
Anche Unicredit prova a comprare quote di Monte Paschi, non ci riesce: la procedura viene aperta e chiusa in tempi record, comprano solo quelli che devono comprare.
La Procura di Milano contesta che l’operazione non è stata trasparente e competitiva come prevede la legge, ma anche che c’è stato un danno per i contribuenti italiani che hanno visto il ministero dell’Economia vendere a Caltagirone e Delfin le azioni pubbliche del Monte Paschi a un prezzo più basso di quello che ci sarebbe stato con una vera asta.
Magari Caltagirone e Milleri hanno commesso dei reati, lo dirà un giudice, ma non avrebbero potuto farlo senza la struttura dell’operazione decisa non da loro ma dal governo.
Ed è sempre il governo, anzi la maggioranza di destra, che fa dimettere i consiglieri indipendenti del Monte dei Paschi per fare posto agli uomini di Caltagirone e Milleri: lo dichiarano cinque amministratori dimissionari alla Consob che li interroga. Dicono che è stato il senatore della Lega Alberto Bagnai, che in teoria non ha titolo per dire o fare nulla in questo ambito, a chiedere loro di andarsene e “aveva detto di esprimersi per conto del ministero”.
Si capisce poi da intercettazioni telefoniche del 18 aprile 2025, dopo che l’assemblea del Monte Paschi ha approvato la scalata a Mediobanca, che l’amministratore delegato del Monte, Lovaglio, in teoria espressione del governo, si sente di agire in squadra e per conto di Caltagirone, non tanto per fare favori al finanziere romano, quando per una logica di politica industriale:
LOVAGLIO: Cavaliere, allora!
CALTAGIRONE: Ma lei è il grande comandante Lovaglio? […] Come sta?
LOVAGLIO: Molto bene! Abbiamo fatto una bella operazione.
CALTAGIRONE: Mi pare fantastico, bravo. Io le faccio i complimenti perché è stato molto bravo.
LOVAGLIO: No, no, no: lì è stato… il vero ingegnere è stato lei. Io ho eseguito solo l’incarico. […] Comunque, godiamoci questa cosa: è stata… ha ingegnato una cosa perfetta, quindi complimenti a lei per l’idea, esatto.
CALTAGIRONE: Perfetto, bene. È andata come doveva, grazie.
LOVAGLIO: Come meritavamo.
L’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel capisce di avere tutti contro, e cerca una mossa disperata: scambiare la quota in Generali detenuta da Mediobanca con il controllo di Banca Generali, una partecipata del gruppo assicurativo.
Un’operazione con un senso industriale per Mediobanca e che avrebbe però reciso il legame storico tra la banca milanese e le Generali, eliminando così il principale punto di interesse per la cordata occulta romana tra Caltagirone, Milleri e governo.
Se Mediobanca non controlla più Generali, non c’è ragione per Monte Paschi di scalarla.
Ma il piano di Nagel viene respinto dall’assemblea dei soci di Mediobanca, dove si schierano contro l’amministratore delegato anche casse di previdenza come Enasarco, quella dei rappresentanti di commercio, e l’Enpam, dei medici. Le due casse comprano azioni di Mediobanca e poi si astengono sul piano difensivo di Nagel, che viene sconfitto.
Entrambe le casse sono sottoposte alla vigilanza del ministero dell’Economia e di quello del Lavoro e nei mesi delle scalate erano impegnate in discussioni sul rinnovo dei vertici.
(Estratto da Appunti)






