L’appello di Sergio Mattarella agli argonauti della Flotilla mi ha ricordato un drammatico passaggio della storia: l’appello di Paolo VI “agli uomini della Brigate rosse” nella primavera del 1978 per chiedere la liberazione di Aldo Moro. Il pontefice, in quel momento, si rivolgeva a dei criminali che credevano di preparare la rivoluzione. Il presidente si è sentito costretto a blandire degli attivisti irresponsabili ed esibizionisti che rischiano non solo di farsi male loro, ma di provocare dei grossi problemi in Italia e sullo scenario internazionale.
Ovviamente tra i due eventi non c’è proporzione. Siamo in presenza del solito caso tragico della storia che di nuovo si presenta, ma sotto forma di farsa. Tuttavia, proprio perché la politica si è trasformato in una clinica dei pazzi (da un celebre film di Totò), dobbiamo prendere atto che una manica di avventurieri che hanno trasformato la lotta in una piacevole e gratuita crociera nel Mediterraneo, sono riusciti ad ottenere quel “riconoscimento politico” che lo Stato volle rifiutare alle Br.
Il presidente della Repubblica (Mattarella è un uomo d’onore) non si è limitato ad invitare i loro caporioni ad accettare le mediazioni a cui in tanti stanno lavorando, ma si è spinto fino a riconoscere il valore del loro gesto di solidarietà e dei loro obiettivi. Ma il loro Comitato direttivo (c’è anche questo e viaggia in prima classe) per ora ha rifiutato la proposta e – con la faccia come un deretano – ha messo le carte in tavola. I nuovi corsari non hanno dispiegato le vele al vento al solo scopo di scaricare a Gaza dei residui di magazzino avuti per gentile concessione dal movimento cooperativo, ma (udite! udite!) per forzare il blocco navale di Israele che loro ritengono illegittimo. In sostanza, si arrogano l’autorità di ripristinare il diritto internazionale, mediante un atto di ostilità nei confronti di uno Stato sovrano in guerra. E pretendono che il governo italiano – con il suo naviglio militare, prontamente inviato sul posto, divenga complice – fino in fondo anche al di là della linea rossa del passaggio dalle acque internazionali a quelle territoriali – del loro gesto di pirateria.
Ma che cosa prescrive il diritto del mare? Secondo la Convenzione di Montego Bay del 1982, che costituisce il quadro normativo di riferimento, le acque territoriali sono la fascia di mare adiacente alla costa di uno Stato, su cui lo stesso esercita la propria sovranità, estendendola al fondo, al sottosuolo e allo spazio aereo sovrastante. L’ampiezza di questa zona è fissata per convenzione a un massimo di 12 miglia nautiche dalla linea di base. Su queste acque è previsto il diritto di passaggio inoffensivo (innocent passage) per le navi di altri Stati, il cui transito però non deve essere contrario alla pace, al buon ordine o alla sicurezza dello stato costiero Il transito deve avvenire in conformità con la Convenzione e altre regole del diritto internazionale Quali sono le attività che rendono ‘’non innocente’’ il passaggio? Si veda la scheda:
- Minaccia o uso di forza contro la sovranità dello stato costiero.
- Esercitazione con armi.
- Raccolta di informazioni a danno della difesa o sicurezza dello stato.
- Propaganda che influisce sulla difesa o sicurezza dello stato.
- Lancio o imbarco di aeromobili o dispositivi militari.
- Carico o scarico di merci, valuta o persone in violazione delle leggi doganali, fiscali, sanitarie o di immigrazione.
- Inquinamento volontario e grave.
- Qualsiasi attività di pesca.
- Attività di ricerca o sorveglianza.
- Interferenza con sistemi di comunicazione o altre infrastrutture.
Diritto di Passaggio
- Il diritto di passaggio innocente si applica a tutti i tipi di navi, comprese quelle mercantili, purché mantengano il loro transito pacifico.
Sembra evidente che – al di là della situazione di conflitto in corso – il governo di Israele abbia buoni motivi per dubitare della legittimità di quell’innocent passage attuato da comunità espressamente ostili e – quanto meno – abbia il diritto di controllare che cosa verrebbe trasportato a Gaza e chi sarebbe consegnato. Perché il premier israeliano può essere spernacchiato durante il suo discorso all’80° assemblea dell’Onu (a proposito, quando ha parlato Giorgia Meloni i presenti non erano in numero maggiore di quelli rimasti ad ascoltare Netanyahu), ma su di un punto cruciale (nel quadro della “mistica” della fame usata come arma da guerra) il premier israeliano ha ragione: a Gaza non si trova uno spillo gratis perché vi sono bande armate (Hamas?) che sequestrano i rifornimenti per venderli al mercato nero.
Netanyahu, poi, ha avuto il merito e il coraggio di rivendicare – esibendo dalla tribuna la carta del Medio Oriente – i debiti che la comunità internazionale ha verso Israele che combatte per liberare, solo con le sue forze, quel delicato scenario dagli ascari al soldo dell’Iran. In sostanza, Israele non si limita più a a chiedere la riscossione del credito etico della Shoah, ma avrebbe diritto a pretendere il saldo dei crediti che abbiamo nei suoi confronti oggi in termini di maggiore sicurezza; ma noi restiamo obnubilati dal demone di quell’antisemitismo che rese l’Europa muta e impotente, se non complice, dell’Olocausto. Tanto che accusiamo Israele di genocidio solo per salvarci la coscienza di aver permesso quei crimini. La scoperta dei campi di sterminio ci impedì di essere “negazionisti” nel 1945. Lo diventiamo oggi nel negare le ragioni di Israele nella guerra in corso.
Un’ultima considerazione va rivolta all’intervento del vecchio Abu Mazen, il quale non ha esitato a subordinare il riconoscimento dello Stato di Palestina alle condizioni di reciprocità con Israele, alla liberazione degli ostaggi e al disarmo di Hamas. È questa una lezione di realismo politico che va impartita non solo ai marinaretti in viaggio per Gaza, ma anche a quei leader europei che si sono affrettati a riconoscere un ologramma di Stato nelle mani di una banda di criminali, che, con un simulacro di sovranità, aprirebbe all’Iran le porte del Mediterraneo, alla faccia della sicurezza e della pace.