La violazione dello spazio aereo polacco da droni russi a basso costo e il successivo abbattimento con sistemi d’arma dal valore di milioni di dollari ha messo in evidenza la scarsa prontezza della Nato di fronte a minacce di questo tipo, secondo gli esperti. Quanto questa dimensione “asimmetrica” può realmente mettere in crisi l’Alleanza Atlantica?
Benché attualmente non si abbia contezza di quali sistemi siano stati effettivamente impiegati per intercettare alcuni dei droni d’attacco (OWA UAV – One-Way Attack Unmanned Aerial Vehicle) che sono penetrati nello spazio aereo polacco, l’episodio rimarca di per sé la sfida evolutiva posta alle difese aeree dalla proliferazione di nuovi e diversificati vettori di attacco. Una sfida già ampiamente manifestatasi dall’Ucraina al Mar Rosso e sulla quale le Forze Armate e le Industrie della Difesa dei Paesi Membri dell’Alleanza Atlantica lavorano attivamente da tempo, sia in termini capacitivi che tecnologici. Un OWA UAV che vola piano a bassa quota non è più qualcosa di nuovo, né lo è il fatto che il loro impiego saturante si fondi su un’asimmetria economica tra minaccia ed intercettore. Esistono già numerose soluzioni possibili, molte delle quali sperimentate con efficacia sul campo, e queste necessitano di essere implementate, acquisite e dispiegate in scala.
Alla luce delle recenti analisi, quali sono secondo lei i principali limiti tecnici e operativi che impediscono alla Nato di avere una difesa anti-droni efficace e completa?
La Nato ha accuratamente studiato e continua ad analizzare l’esperienza ucraina contro questa tipologia di minacce e, tanto a livello aggregato quanto di singoli Sistemi Paese, con il contributo delle rispettive industrie della difesa, ha individuato diverse soluzioni che sono in fase di implementazione ed acquisizione. Si tratta ovviamente di una minaccia molto diversa rispetto a quelle che l’architettura di difesa aerea ed antimissile Nato era concepita per contrastare, e da questo ne conseguono i tempi tecnici necessari per l’integrazione capacitiva. Il passaggio è dal neutralizzare vettori high-end impiegati in piccoli numeri, in particolare missili balistici che se con testata non convenzionale rappresentavano la minaccia esistenziale per eccellenza, al mantenere questa capacità ed integrarla con una di contrasto a vettori low-end impiegati in elevato numero.
Fin dall’inizio la guerra della Russia in Ucraina ha evidenziato l’importanza dei droni sul campo di battaglia, e ora la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato la necessità di costruire un muro contro i droni. Quali sono le principali sfide pratiche e tecnologiche?
Premettendo la sostanziale distinzione tra la dronizzazione tattica del campo di battaglia, e quindi la necessità di soluzioni idonee a proteggere un dispositivo militare manovrante schierato sul terreno, dall’introduzione degli OWA UAVs, ossia vettori d’attacco a lungo raggio, e che comportano una difesa della profondità, il necessario aggiornamento dell’architettura europea di difesa aerea, comporta cooperazione e standardizzazione. Si tratta di individuare le proposte tecnologiche più efficaci e competitive, e come sottolineato dal Comando Supremo delle Potenze Alleate in Europa, Generale Alexus Grynkewich, l’Ucraina rappresenta un ottimale banco di prova, per poi produrle in scala. Il potenziamento della base industriale europea della difesa risulta in quest’ottica centrale.
Quanto pesa la frammentazione industriale europea nella capacità di sviluppare e integrare soluzioni comuni di difesa anti-drone all’interno dell’Alleanza Atlantica?
Se da un lato un ampio ecosistema industriale della difesa, inclusivo di start-up e PMI, favorisce l’innovazione e lo sviluppo di una pluralità di soluzioni diverse, questo complica poi la selezione di un ristretto numero di sistemi su cui concentrare gli investimenti e le acquisizioni a livello aggregato. Le dinamiche di crescente cooperazione e coordinamento tra le industrie europee della difesa, in particolare per fornire prodotti idonei ai nuovi requisiti operativi ed incluso nel segmento anti-drone, pone tutte le condizioni per un superamento delle eventuali criticità sotto questo profilo, senza contare il ruolo di realtà multinazionali consolidate a livello continentale come Mbda.
Infine, ieri il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare italiana, generale Conserva, ha parlato di droni-intercetta-droni guidati dall’intelligenza artificiale, pronti entro tre anni se ci saranno le risorse. Secondo lei questa soluzione è realistica nei tempi indicati?
Le soluzioni drone-anti-drone rappresentano certamente un’opzione valida per il contrasto a queste minacce ed esistono già diversi modelli in fase di sperimentazione operativa. La tecnologia sostanzialmente c’è, e se integrati con altri sistemi, questi assetti possono rappresentare uno dei perni per un’efficace difesa anti-drone.