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Conta solo “intortarla”, i successi italiani e le loro narrative

La debolezza governativa e la strumentalità delle sinistre nella narrativa si inseriscono in un mondo complesso e confuso. Riflessioni a margine di notizie e commenti su rating, debito, borse, pil, contratti e dimissioni... Il corsivo di Battista Falconi

Conta di più quello che si fa o come lo si racconta? Ormai l’essenziale sembra “intortarla”, come si dice a Roma, saperla dire bene.

Il governo ha capitalizzato un risultato straordinario, il progressivo apprezzamento delle agenzie di rating. Significa pagare meno interessi sul debito pubblico: per il nostro paese è tanto essenziale che, nella situazione opposta, si tenne sotto schiaffo Berlusconi premier fino a mandarlo via. Eppure, le opposizioni cercano di sminuire un dato che dovrebbe inorgoglirci come italiani: la stabilità istituzionale è un valore a prescindere dall’appartenenza politica.

Un altro risultato recente e importante, meno attenzionato, sono i contratti siglati con diverse categorie, ultimi i metalmeccanici, che spesso i sindacati legati alle opposizioni cercano di snobbare: per quello di medici e sanitari, aumenti di 491 euro mensili considerati insufficienti, è stato proclamato sciopero generale il 12 dicembre. Sui rinnovi contrattuali, però, anche la maggioranza non ha costruito uno storytelling adeguato. E dire che un tempo i governi ci si giocavano faccia e poltrona, in modo smaccatamente clientelare.

La debolezza governativa e la strumentalità delle sinistre nella narrativa si inseriscono in un mondo complesso e confuso. Che non è mai stato tanto indebitato, tema interessante e importante quanto ignorato; nel quale le Borse siedono su altalene delle quali si capisce poco, anche perché di finanza e mercati ne sanno forse solo gli esperti; dove i macro-dati socioeconomici sono intrinsecamente contraddittori, si pensi all’aumento dell’occupazione e alle retribuzioni inadeguate.

È il chiaroscuro in cui si infila subdolamente Cottarelli per dire “sì andiamo meglio, ma non cresciamo”. Proponendo l’originale taumaturgia del taglio della spesa pubblica: il lato verso della medaglia che però, girata dal dritto, reclamiamo come investire in sanità, formazione e tante altre belle cose. Se questa è la levatura del grande tecnico della sinistra, capiamo perché poi arranchi a livello politico-culturale.

Eppure la sinistra, anche in questa crisi, riesce a far pesare la sua maggior capacità ed esperienza sul piano narrativo. Ha ragione Ceccarelli quando sottolinea che le dimissioni di Piero Tatafiore, il portavoce di Giuli, evidenziano il fallimento del “ministero dei pasticci”, dopo quelle di Sgarbi e Sangiuliano e il gaffismo del secondo, di cui l’attuale titolare pare degno erede. Meloni non è riuscita a cogliere la possibilità di abbattere l’egemonia, gramsciana o catto-comunista che dir si voglia. Un po’ come non è riuscita col premierato “madre di tutte le riforme”, che contribuirebbe alla stabilità dalla quale conseguono i buoni risultati italiani. Si andrà solo a quella della “magistratura”, che però si teme non garantisca un effettivo miglioramento del nostro deficitario sistema giudiziario.

Quanto e perché l’egemonia non sia stata intaccata lo dice anche la continuità carsica delle polemiche sul fascismo. Con ragione, il Giornale rileva come il termine polisemico sia un’etichetta delle sinistre per semplificare, demonizzare e distrarre le masse dalla propria crisi (la “fascioansia”). L’ha usato persino Mamdani contro Trump, col quale sta comunque avviando un’inevitabile collaborazione. Altrettanta giustificazione ha però Giordano Bruno Guerri quando addita la destra: non ha fatto i conti con le radici nostalgiche, rallenta la crescita politico-culturale, troppo conservatrice, guarda indietro anziché avanti. Certo Guerri conferma il suo sprezzo del ridicolo quando, nella stessa intervista, esalta il futurismo.

Ma a dargli ragione sulla questione neofascista basta ricordare le dimissioni precedenti a quelle di Tatafiore, rassegnate da Paolo Signorelli, portavoce del ministro Lollobrigida reo di vecchie chat tra tifo calcistico e nostalgie. Dimissioni similari anche per la dignità dei due gesti, compiuti con piena assunzione di colpa a discarico dei ministri, rara in un momento in cui il consigliere quirinalizio Francesco Saverio Garofani e i membri dell’Autorità Privacy restano al loro posto nonostante le polemiche. Oggi sono entrambi perculati, specularmente, da Verità e Repubblica; noi li citiamo entrambi, in perfetta par condicio.

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