La Repubblica – sempre quella di carta di cui si sta occupando anche il governo, chiamato in causa dagli stessi giornalisti in cerca di protezione pur rappresentandolo abitualmente come un tardo derivato del fascismo, o quasi – è in crisi di identità mentre sta cambiando editore, cioè proprietario.
Il passaggio dalle mani, dai piedi e infine dal cuore del nipote erede del compianto Gianni Agnelli, che di italiano preferisce la Juve alle auto e ora anche i giornali, costosi da mantenere e difficili forse da sopportare nella loro pretesa di rispondere più ai lettori che all’editore di turno, ha creato in redazione – a Repubblica come anche alla Stampa – un clima di sgomento, paura, insicurezza. A Repubblica, però, più ancora che alla Stampa, perché mentre la prima ha comunque un nuovo editore certo, il ricchissimo armatore greco Theo Kyriakou, la seconda sarà solo in transito nella nuova proprietà. Che ha manifestato già il suo disinteresse a conservarla e una certa fretta di liberarsene. Non il massimo, credo, per una redazione e una testata abituate ad una certa stabilità, diciamo così, di appartenenza intesa come proprietà: gli Agnelli doverosamente al plurale.
Mentre però la Stampa, in fondo la più debole perché la più minacciata non di uno ma di due passaggi editoriali, è difesa nella sua battaglia sia dal comitato di redazione sia dal suo direttore Andrea Malaguti, corso anche nei salotti televisivi con aria un po’ sanitaria a difendere la creatura, diciamo così, alla Repubblica Mario Orfeo, che la dirige da poco più di un anno succedendo a Maurizio Molinari, mi sembra essersi messo alla finestra. Forse -si è già scritto in qualche cronaca o retroscena- per non compromettere la decisione o la furbizia attribuita all’armatore greco in arrivo di lasciarlo almeno per un po’ al suo posto come pegno almeno di una buona volontà continuista sul piano della linea politica, o delle amicizie e simpatie.
Al posto del direttore Orfeo si è oggi impegnato a sventolare la bandiera di Repubblica in prima pagina l’ex direttore Ezio Mauro, succeduto a suo tempo al fondatore Eugenio Scalfari su sua stessa designazione, avendolo visto e indicato come il prediletto. O qualcosa di simile, come ha raccontato e spiegato ieri un in una lunga intervista al Foglio il quasi familiare ex senatore Luigi Zanda. Che nel parlare della Repubblica ceduta a Kyriakou da Jhon Elkann dopo essere stata ceduta al nipote di Gianni Agnelli dai figli di Carlo De Benedetti è stato solo un più meno ruvido dello stesso De Benedetti. Il quale sempre al Foglio ha parlato dell’editore in uscita da Repubblica come quasi di un fuggitivo dell’Italia verso gli Stati Uniti. Ma – debbono almeno sperare e i magistrati di competenza – avere esaurito i cosiddetti servizi sociali, alternativi al carcere, come un Berlusconi qualsiasi, procuratigli da contestazioni da codice penale per i suoi rapporti col fisco, oltre che con la madre delusa, a dir poco, dell’eredità assegnatagli dai figli.






