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Che cosa cela il rapporto a 5 stelle tra Schlein e Conte

Perché paiono un po' ingenerose le critiche e gli sbuffi nel Pd sui rapporti troppo stretti fra Schlein e Conte. Il corsivo di Damato pubblicato sul quotidiano Il Dubbio.

Giusto per pagare un po’ di dazio all’obiettività, che nella polemica politica generalmente sta come il diavolo all’acqua santa, penso che Eddy Schlein – sì, proprio lei, la segretaria del Pd che forse rischia più di tutti nelle elezioni regionali di domenica prossima in Puglia e Campania, pur non essendo candidata direttamente né nell’una né nell’altra – abbia diritto non dico alle attenuanti, perché per fortuna non è ancora finita in tribunale, ma a qualche umana comprensione.

Le rimproverano, sempre nel Pd, e non solo fra quanti ne contrastarono l’elezione a segretaria, ma anche fra quanti la sostennero nella tradizionale area riformista pensando di poterla poi condizionare a dovere, un rapporto sbilanciato con Giuseppe Conte, il partito delle 5 Stelle e i suoi candidati nelle elezioni amministrative.

Lei tutto sommato ha incassato con cortesia. Forse anche troppa, preferendo spesso occuparsi più dei colori del suo abbigliamento consigliati o prescritti da una esperta professionale di moda, che la fa forse elitaria più del dovuto o dell’opportuno in un partito che pure proviene dal Pci e dalla sinistra democristiana, più cespugli vari. Si è risparmiata, almeno sinora, il botto di uno sfogo cui forse non avrebbe saputo resistere neppure un professionista della politica. Si è risparmiata, cioè, di rinfacciare ai suoi critici di averla eletta al Nazareno, o di averla lasciata eleggere con le votazioni finali aperte anche ai non iscritti, ma iscritti ed elettori di altri partiti, a cominciare dagli allora ancora grillini, proprio per aprire a Conte. Che dopo la sconfitta della sinistra nelle elezioni politiche generali di tre anni fa, aveva condizionato la ripresa dei rapporti col Pd ad un cambiamento “radicale” – ripeto, radicale – della sua leadership. Fu quello il brodo, diciamo così, nel quale maturarono la candidatura prima e l’elezione poi della Schlein con i suoi tre passaporti e le loro custodie nella borsa che indossa con le sue giacche, camicette e pantaloni. Mai a vederla una volta in gonna.

Si dice, sempre nel suo partito facendo un po’ da sponda alla maggioranza di centrodestra, che la Schlein abbia inseguito Conte tanto da scavalcarlo. E da confondersi anche con la Cgil di Maurizio Landini, sino a sposarne il referendum abrogativo, e morto di astensionismo, del cosiddetto Jobs Act prodotto ai tempi di Matteo Renzi segretario del Pd e insieme presidente del Consiglio.

Se questo è vero, com’è vero, è vero anche che, poco importa se a caso o apposta, nella concorrenza con la Schlein scalando Palazzo Chigi il Conte delle 5 Stelle, il Conte in versione Eraclito, il filosofo dell’antichità più famoso per l’oscuro nel quale ragionava, ha ripiegato non al centro ma a destra addirittura. Lo ha fatto assumendone preoccupazioni, proposte e ostilità nei campi non certo secondari della sicurezza e del fisco, lasciando per esempio il cerino della tassa patrimoniale per fare piangere i ricchi fra le dita lunghe e sottili della Schlein. Bacchettata per questo anche dall’ospite elettorale del Pd più famoso e stagionato che è il senatore quasi a vita Pier Ferdinando Casini.

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