Gli attacchi notturni di Israele contro l’Iran hanno sorpreso Teheran. I vertici militari sono stati eliminati, così come diversi scienziati nucleari del paese. I raid – che hanno colpito decine di siti nucleari e militari – potrebbero proseguire mentre si attende la risposta iraniana. Per capire gli obiettivi di Israele e cercare di far luce su quali potrebbero essere gli scenari futuri, soprattutto per l’Iran e per la regione, StartMag ha sentito Lorenzo Zacchi, senior fellow del Centro Studi Geopolitica.info ed esperto di Medio Oriente.
Israele vuole sfruttare il momento di caos e risolvere la questione con l’Iran una volta per tutte?
Si sbagliava chi diceva, dopo il 7 ottobre, che Israele non avesse una vera e propria strategia, ma stesse rispondendo troppo ‘di pancia’. L’obiettivo finale di Israele era disarticolare l’architettura di sicurezza dell’Iran nella regione, cioè le sue varie capacità offensive dispiegate tramite un’impalcatura costruita negli ultimi 20-30 anni. Così si spiegavano i raid sulle varie milizie, gli Hezbollah, la Siria, lo Yemen e ovviamente Gaza. L’obiettivo finale di Israele, che ormai non è neanche più nascosto tanto che viene scritto nei comunicati ufficiali di funzionari e istituzioni israeliane, è quello di rendere inoffensivo l’Iran. Tagliare la testa al serpente. L’attacco delle scorse ore, quindi, paradossalmente non esce fuori dai binari di quanto già fatto.
Ma che messaggio manda Israele con questa operazione?
Quello di avere la capacità, sempre più, di arrivare veramente alla testa della Repubblica islamica. Ha dimostrato di essere in grado di colpire ovunque, anche all’interno dell’Iran. L’ha già fatto nel corso di questi ultimi mesi, ma con questi attacchi ha eliminato i due personaggi più importanti dell’apparato militare iraniano, oltre agli scienziati del programma nucleare. Uccidere Hossein Salami, comandante in capo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, e Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, non è stata cosa da poco. Volevano ribadire il concetto: siamo in grado di arrivare ovunque, sappiamo come farlo.
In tutto ciò gli Stati Uniti sapevano? Hanno dato il via libera? Trump solamente poche ore prima aveva dichiarato che un attacco israeliano fosse possibile ma non imminente.
Israele ha sfruttato sicuramente il momento di stallo in cui rimbalzavano le notizie di un possibile attacco. Abbiamo due modi per leggere questa cosa: o veramente a Washington, e nella Casa Bianca, c’è molta confusione – e sarebbe abbastanza preoccupante – oppure gli Stati Uniti, con un’ambiguità strategica di fondo, hanno contribuito a nascondere l’attacco israeliano. Trump continua a dire che non se lo aspettava, nonostante sapesse che Israele vuole eliminare il programma nucleare di Teheran. Il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha fatto un comunicato ufficiale prendendo le distanze dai raid, sottolineando come gli Stati Uniti siano estranei. Ma intanto i principali media israeliani hanno iniziato a riportare il fatto che gli Usa sapessero e abbiano aiutato a celare le intenzioni di Tel Aviv.
Tra l’altro di mezzo c’erano anche i colloqui tra Usa e Iran sul nucleare. Teheran ne ha subito annunciato la sospensione dopo gli attacchi. Ci si è messa una pietra sopra definitiva?
Se la pietra sia definitiva non lo so. Quella, secondo me, rimane una strada comunque percorribile in futuro. Se nell’equazione ci vogliamo mettere la Repubblica islamica che rimane Repubblica islamica, quindi con l’impalcatura di adesso, e un futuro di stabilità nel Medioriente, si può risolvere solo con un accordo stringente sul nucleare, che assicuri sicurezza quantomeno gli altri Stati della regione. Sennò l’equazione salta. Ma con gli attacchi di oggi, Israele palesa di non fidarsi di un accordo sul nucleare. Come non si fidava nel 2015, non lo fa neanche ora. L’alternativa, che a questo punto sembra la strada scelta da Israele, è far saltare la Repubblica islamica.
Quale sarà la reazione iraniana? Sferrerà un contrattacco?
Dal punto di vista militare, la reazione sarà obbligata. L’Iran può reagire solo in un modo, con un contrattacco dal cielo, come lo sta lanciando in queste ore con i droni. Poi magari può passare ai missili. Una risposta standard, preventivata – immagino – da Israele. Poi ci potrà essere una risposta non convenzionale, quindi tramite l’utilizzo delle varie milizie esterne.
Ma c’è la possibilità che l’Iran deflagri dall’interno, che la leadership cominci veramente a traballare?
Da un lato una parte della società iraniana potrebbe iniziare a domandarsi com’è possibile che negli ultimi trent’anni la maggior parte delle risorse che l’Iran ha stanziato sono state affidate ai pasdaran e che questa architettura di sicurezza, tale da giustificare le loro ingenti spese, sia stata messa fuori gioco da Israele in un anno e mezzo. Una riflessione che possa portare a spaccature interne è possibile, magari con l’esercito nazionale infastidito da come sono stati utilizzati i budget della Difesa. La domanda delle domande è se spaccature importanti possano creare cambiamenti effettivi nel regime. Israele sicuramente se lo augura. Ma c’è un altro lato della medaglia. Questi attacchi e questo aumento della percezione di insicurezza da parte del regime iraniano potrebbe portare Teheran, in maniera devastante e quasi suicida, a puntare sempre più sul nucleare. Per il regime iraniano potrebbero non esserci alternative allo sviluppo di una dottrina militare nucleare. Una parte del regime spingerà verso tale scenario, con tutti gli enormi rischi connessi.