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Zerocalcare

Zerocalcare è un po’ populista?

L’imperativo morale di prendere posizione sul conflitto israelo-palestinese sembra coincidere con la necessità di disumanizzare completamente gli uni o gli altri, in una terribile gerarchia dei massacri, oltre che consistere paradossalmente nella contesa per il ruolo di vittima. Il corsivo di Francesco Cundari estratto dalla sua newsletter La Linea

 

Quel tipico sorriso teso, imbarazzato e vagamente stralunato con cui Jerry Seinfeld reagiva alle tante piccole assurdità della vita nel telefilm che lo ha reso una celebrità per tutti gli anni novanta, ai tempi in cui i telefilm si chiamavano ancora telefilm, era al tempo stesso particolarmente adeguato e apparentemente fuori contesto, sul palco della cerimonia inaugurale dell’università americana in cui ieri si apprestava a tenere il suo discorso, mentre una parte degli studenti se ne andava indignata e un’altra parte lo contestava per le sue posizioni pro-Israele.

Una scelta di campo, anche questa, insieme naturale e inconsueta, per il comico ebreo che dopo il 7 ottobre ha sentito l’esigenza di schierarsi, pur avendo sempre rappresentato un genere di comicità del tutto disimpegnata e disincantata, perfettamente in linea con lo spirito degli anni novanta, quando si poteva scherzare di tutto e forse anche per questo si scherzava soprattutto delle piccole cose. Osservando la scena, e in particolare il volto di Seinfeld, non ho potuto fare a meno di pensare a un episodio in un certo senso perfettamente simmetrico, accaduto da noi due giorni fa, e all’immagine di Zerocalcare mentre arringava la folla dei contestatori davanti al Salone del libro.

Non posso sapere quanti tra i lettori di questa newsletter condividano la protesta degli studenti americani contro Seinfeld e approvino di tutto cuore la scelta di Zerocalcare, e quanti al contrario solidarizzino con Seinfeld (e con quegli studenti ebrei che non si sentono più al sicuro nelle università americane), guardando invece a Zerocalcare come a un tipico esempio del conformismo degli intellettuali nei periodi più bui: sempre schierati con la maggioranza, ma sempre in posa da vittime (o da eroici rivoluzionari, o entrambe le cose a seconda del momento), cioè esattamente nel modo in cui i primi vedono Seinfeld.

Il 7 ottobre è solo il pretesto per giustificare i massacri di Gaza o sono invece i massacri di Gaza a essere solo il pretesto per giustificare l’odio contro Israele?

L’imperativo morale di prendere posizione sembra qui coincidere con la necessità di disumanizzare completamente gli uni o gli altri, in una terribile gerarchia dei massacri. In questo momento, quella che negli anni settanta si sarebbe definita forse lotta per l’egemonia, sembra consistere paradossalmente nella contesa per il ruolo di vittima. Ovviamente perché è la vittima a definire il carnefice, e al carnefice si può fare tutto (anzi, si deve).

E così, tra gli effetti secondari della polarizzazione del dibattito pubblico cui assistiamo in tutto il mondo, c’è la morte dell’ironia (un problema che dovrebbe stare a cuore tanto a Seinfeld quanto a Zerocalcare), perché in fondo l’ironia non è altro che la capacità di tenere insieme verità opposte in uno stesso discorso, sopportandone la contraddizione, e in tal senso è una forma di tolleranza, dunque di intelligenza. E questo, se ci pensate – oltre che con l’identità ebraica – ha molto a che fare anche con la crisi del dibattito pubblico nella democrazia liberale, al tempo del populismo.

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