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Perché il voto cattolico si sta melonizzando

Non è la Meloni che si è democristianizzata, è il voto cattolico che si è spostato a destra. Il corsivo di Damato pubblicato sul quotidiano Il Dubbio.

Impropriamente – come può accadere in un comizio, anche ad una professionista della politica com’è una pur giovane leader che non ha fatto praticamente altro nella sua vita – la premier Giorgia Meloni in un tripudio di scudi crociati ha invitato avversari, critici e amici a “stare tranquilli” di fronte alla “caccia” ai cattolici che le viene attribuita nella prospettiva di un “clerico melonismo”. Che è, in particolare, la formula addebitatale da Marco Damilano sul Domani dell’editore Carlo De Benedetti.

La caccia, come la pesca, dà il senso certamente di una competizione, ma non necessariamente a lieto fine sia per la preda sia per i concorrenti, che possono rimanere vittime di qualche incidente. Meno impropriamente la premier avrebbe dovuto parlare di corteggiamento, ma da donna – lo ammetto – potrebbe essere stata trattenuta dalla paura di apparire sfacciata. Tuttavia sono davvero i voti cattolici in senso lato, comprensivi dei democristiani della storia politica italiana, che la premier ha raccolto con le sue posizioni e declamazioni politiche, e di credente, portando il suo partito di destra dal 3 al 30 per cento? Cioè moltiplicandolo per 10, a spese degli alleati di centrodestra ma anche del Pd, dove la sofferenza della componente di provenienza democristiana è di una sconcertante evidenza.

Non è la Meloni che si è democristianizzata, o andreottianizzata più in particolare, come le viene rimproverato dimenticando che a 15 anni, quando le venne la vocazione politica sotto l’effetto dell’attentato mortale a Paolo Borsellino e alla scorta, la Dc era già verso lo scioglimento, avvenuto diciotto mesi dopo, all’incirca. È il voto cattolico, ripeto, comprensivo dell’elettorato sopraggiunto per ragioni naturali a quello della Dc, che si è accasato stabilmente a destra, più che a sinistra come nelle aspirazioni della omonima area democristiana. Si è accasato stabilmente, questo voto, senza più andarsene a destra “in libera uscita”, come diceva fiduciosamente Giulio Andreotti nella cosiddetta prima Repubblica, quando commentava i guadagni elettorali del Movimento Sociale di Giorgio Almirante. E pensava al ritorno, per lui scontato, di quegli elettori alla Dc.

Quello che la Meloni prima ancora di capire e di inseguire in tenuta da caccia o pesca ha semplicemente avvertito, e giustamente cerca di consolidare, è che non c’è più per dimensioni elettorali e programmi politici una Dc dove certi voti potrebbero tornare. C’è qualche scheggia o cespuglio, quantitativamente parlando, come l’Udc di Lorenzo Cesa e Antonio De Poli, già di Pier Ferdinando Casini, alla cui festa la Meloni è accorsa in un albergo romano sull’Aurelia, accolta come una sorella, parafrasando i suoi fratelli d’Italia.

Ci sono devoti anche altrove, per carità. Come Dario Franceschini, non so di preciso di quale Santo, e Giuseppe Conte, devoto anche per ragioni familiari di Padre e Santo Pio. Essi si sono consultati e confortati alla festa dell’Unità nella prospettiva di un’alternativa al centrodestra a guida però necessariamente indefinita. Necessariamente, perché solo a cercare di definirla se ne compromette la sorte.

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