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Via Della Seta

Vi spiego le turbolenze in Cina. Parla Sisci

Cosa succede davvero in Cina? Conversazione con Francesco Sisci, sinologo, professore di geopolitica alla Luiss e alla Renmin University of China di Pechino

 

Le proteste di questi giorni in Cina, e la frustrazione dei cinesi per i prolungati lockdown? Secondo Francesco Sisci questi fenomeni sono il segno, preoccupante per il regime di Pechino, che ormai “si è rotta la fiducia che esisteva tra governo e cittadini”.

In questa conversazione con Start Magazine Sisci, sinologo, professore di geopolitica alla Luiss e alla Renmin University of China di Pechino, rimarca tutti i limiti della strategia zero-Covid perseguita dal Partito comunista. “Non si può combattere una malattia con degli strumenti politici inadeguati”, è la perentoria affermazione di Sisci, che nell’intervista rileva, tra le altre cose, anche la simultaneità tra la crisi cinese e quella che colpisce altri due avversari storici degli Usa come Russia e Iran.

Sisci sottolinea la coincidenza temporale tra le crisi in cui versano tre Paesi ostili agli Usa, ossia Russia, Iran e Cina: ciò sembrava impensabile appena un anno fa con il disastroso ritiro degli Stati Uniti  dall’Afghanistan che sembravano portarli “a un passo dalla tomba”.

“Quando ci fu il ritiro dall’Afghanistan, un ritiro brutto, organizzato male, noi non abbiamo capito che dietro si celava una decisione strategica, anche se messa in pratica male – rimarca Sisci – Per Washington si trattava di uscire dal buco nero dell’Asia centrale e del Medio Oriente, che non si era riusciti a gestire, per focalizzarsi su altre priorità. La si è letta come una sconfitta degli Usa, ma non lo era affatto. Al contrario, come vediamo ora, nel giro di pochi mesi i tre principali avversari dell’America – Russia, Cina e Iran – sono entrati in una profonda crisi”.

Professor Sisci, torniamo alle recentissime fibrillazioni in Cina, ossia le proteste di questi giorni in varie città contro i lockdown e la politica zero-Covid. Che cosa sta accadendo?

Quel che sta succedendo in Cina è imprevisto ma al tempo stesso previsto. Nel senso che non era sostenibile la politica zero-Covid. Non si può combattere una malattia con degli strumenti politici inadeguati, che non hanno funzionato nel resto del mondo e quindi non si capisce perché dovrebbero funzionare in Cina. I cinesi però sono molto disciplinati e quindi per due anni e mezzo hanno continuato ad obbedire al governo. Quello che ha fatto scoppiare la bolla secondo me è stato che i cinesi tifosi di calcio hanno visto come nel Qatar la situazione era tornata normale. E si sono chiesti come si fa ad avere una situazione normale in Qatar come nel resto del mondo mentre in Cina si è sempre alla posizione di partenza. La gente semplicemente non ne può più di essere relegata in casa, o sotto la minaccia di essere portata nei centri di quarantena, o sottoposta a questi che variano, o una volta al giorno, o ogni 48 ore, o ogni 72, ma comunque è una vessazione continua. Non si può viaggiare da una città all’altra, per non parlare di andare all’estero. È un inferno. Alla gente mancano non le libertà politiche, ma libertà elementari come fare una passeggiata, trascorrere un weekend fuori, cose davvero banali. E non ne può più, anzi, bisogna considerare straordinario che i cinesi abbiano tollerato questa situazione per due anni e mezzo. Poi c’è un punto politico…

Quale?

Attraverso tutto ciò, si è rotta la fiducia che esisteva tra governo e cittadini. Una fiducia fondamentale perché ha sorretto il Partito Comunista da Tienanmen a oggi, ossia dall’ultima volta in cui ci fu una rottura. Ora non è chiaro se come questo governo potrà ricostruire questa fiducia. Non è chiaro nemmeno nel breve termine come si farà a gestire questa emergenza. Anche perché, se è chiaro che la politica zero-Covid è impossibile, è altrettanto chiaro che non puoi aprire tutto in un colpo, visto che la gente non è vaccinata, non c’è l’immunità di gregge e gli ospedali non sono attrezzati. In queste condizioni, quindi, se molli il lockdown, c’è il rischio che tra un mese ci siano un milione di morti. Chi si assumerebbe il rischio di questo salto nel buio? È una giuntura politica delicatissima, in cui non ci sono scelte facili.

A proposito, anche noi abbiamo conosciuto i lockdown, ma quelli cinesi come funzionano?

Il lockdown in pratica significa che non puoi uscire di casa, che sei chiuso nel tuo appartamento. Nei migliori casi non si può uscire dal proprio palazzo. Di fatto, è una compressione enorme della libertà, tanto che i palazzi in quarantena sono chiusi con delle paratie, col portone sbarrato. Dobbiamo chiederci a questo punto come abbiano fatto i cinesi a sopravvivere, e la risposta la sappiamo, grazie ai servizi di fornitura di cibo. Ma con il lockdown intensivo anche i rider che devono fare le consegne in lockdown, e la stessa cosa vale per gli autisti dei camion che devono consegnare il cibo dalle campagne alle città. Ci sono quindi delle strozzature nei sistemi di approvvigionamento alimentare delle città. Il lockdown sta strozzando tutto. Né si vedono prospettive di apertura. Nessuno sa dire se tra un mese o sei mesi la situazione cambierà.

Lei ritiene impossibile un allentamento delle restrizioni a breve?

In realtà un parziale allentamento c’è stato, anche se non nelle dichiarazioni ufficiali. Il problema è capire se questo parziale allentamento sarà sufficiente per riportare un minimo di normalità nel paese. E questo non è chiaro, perché la verità è semplicemente che molti non ne possono più. Vorrebbero la libertà totale, ma come abbiamo detto la libertà totale comporta dei rischi non banali. Io credo che dobbiamo attendere qualche giorno per capire come evolverà la situazione.

E a proposito dei vaccini cinesi e del tasso di vaccinazione della popolazione, cosa ci dice?

La Cina, come altri paesi, ha i suoi vaccini, che sono sei, che si sono tutti rilevati poco efficaci se non del tutto inefficaci. Anche negli altri Paesi in cui sono stati adottati, non sono riusciti a fermare l’ondata dei contagi. In più, in Cina non c’è una campagna vaccinale, e gli anziani non sono stati vaccinati. In questa condizione bisognerebbe comprare i vaccini dall’estero, ma non sarebbe tutto. Bisognerebbe distribuirlo tra una popolazione enorme come quella cinese, uno sforzo titanico. Inoltre, come sappiamo, questi vaccini non sono immuni da rischi, come abbiamo visto dalle reazioni avverse che hanno causato la morte di alcuni anziani: dobbiamo chiederci se il governo sia disponibile a mettere a rischio una percentuale ancorché minima di anziani, dopo non averli vaccinati e aver detto per due anni e mezzo che questi vaccini sono pericolosi. Purtroppo, con la sua propaganda, il governo si è messo in una condizione davvero difficile.

In conclusione, professore, torniamo alla sua tesi iniziale: dunque nello spazio di 12 mesi sembra essere cambiato davvero tutto?

Naturalmente bisogna essere prudenti perché la guerra non è ancora finita, la Russia è sconfitta politicamente ma non ammette la sconfitta. In Iran abbiamo superato il punto di non ritorno, però non abbiamo ancora un punto di arrivo, non sappiamo se gli ayatollah cadono o non cadono, se si arriva a un compromesso. Quello che io direi è che la strategia di armare e sostenere l’Ucraina è stata giusta e fondamentale, ma ancora più profondamente che la democrazia americana è solida al di là delle chimere dei suoi oppositori. La solidità interna dell’America viene periodicamente e puntualmente sottostimata. Aggiungerei un altro elemento e cioè che Trump, che era un elemento disrupting della democrazia americana, è stato messo da parte; Sleepy Joe, ossia Biden, oggi presiede un Paese che e molto più unito al suo interno e anche al suo esterno. In definitiva la solidità dell’America è un punto che all’estero si tende spesso a sottovalutare per sopravvalutare invece la forza effimera di questi sistemi autoritari che funzionano fin quando tutto funziona bene e invece, nel momento in cui le cose vanno fuori dai binari, deragliano.

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