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Giorgetti

Vi spiego la frenesia del Pd per una nuova legge elettorale

Il segretario del Pd, Zingaretti, è interessato ad anticipare la fine di una legislatura appesa alla preponderante e sempre più confusa presenza dei grillini. E dunque spinge per una riforma elettorale, ma...

E’ beata ingenuità quella che sta consentendo da un bel po’ di giorni a giornalisti, osservatori e politici di attribuire l’agitazione del segretario del Pd Nicola Zingaretti sul tema dell’ennesima riforma elettorale solo o prevalentemente ad una insofferenza per l’abitudine di Matteo Renzi di cambiare opinione.

In particolare, il senatore di Scandicci dopo avere spinto quasi un anno fa il tentennante Pd a fare il governo con i grillini accettando anche la riforma sino ad allora contrastata per ridurre i seggi parlamentari, riconobbe l’urgenza di una nuova legge elettorale interamente proporzionale, con una soglia del 5 per cento dei voti per l’accesso alle Camere. Ma ora, stranamente dopo avere verificato in tutti i sondaggi di essere col suo nuovo partito sotto quella soglia, egli non riconosce più questa urgenza e ha stoppato alla Camera, dove pure i suoi voti non sono decisivi per la tenuta della maggioranza, il tentativo del Pd di portare in aula e approvare entro l’estate la riforma elettorale, almeno nel suo primo passaggio parlamentare. L’urgenza spetterebbe a ben altro, con la sopraggiunta emergenza virale e l’uso dei soccorsi finanziari europei, sia pure non immediati.

Per ritorsione Zingaretti ha minacciato di riprendersi libertà d’azione e trattare una riforma elettorale con altri, a cominciare dai leghisti di Matteo Salvini, i più minacciati da un ritorno al proporzionale, dando per scontato – chissà perché – la disponibilità tutta da verificare dei grillini a seguirlo in questa inversione di rotta. E’ evidente la debolezza logica dello scenario minacciato dal segretario del Pd, la cui irritazione o frenesia, come preferite, nasce pertanto da ben altro che dalla volubilità di Renzi.

La fretta di Zingaretti deriva dall’interesse politico ch’egli evidentemente avverte – diversamente da Renzi, ma a questo punto anche dai grillini – a rendere eleggibile il più presto possibile con nuove regole il Parlamento che uscirà disegnato in autunno dal referendum confermativo della riforma costituzionale pentastellata: un Parlamento fatto di 400 deputati e 200 senatori, contro i 630 e i 315 uscenti, da cui resterebbe fuori la rappresentanza di intere regioni con le regole oggi in vigore. Il problema, non confessato dal segretario del Pd ma visibile in filigrana, è di precedere la scadenza del 4 agosto dell’anno prossimo, quando comincerà l’ultimo semestre di carica del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e lo scioglimento anticipato delle Camere gli sarà precluso.

Zingaretti insomma, specie ora che stando al governo si hanno o si avranno da spendere gli aiuti concordati nel Consiglio Europeo di Bruxelles, è interessato ad anticipare la fine di una legislatura appesa alla preponderante e sempre più confusa presenza dei grillini. Immagino già gli scongiuri di Giuseppe Conte, che rimanendo a Palazzo Chigi sino a febbraio del 2022 potrebbe partecipare da una posizione di vantaggio alla gara per la successione a Mattarella.

Del presidente del Consiglio è appena tornato a tessere elogi sperticati, in una intervista alla Stampa, l’uomo considerato più vicino a Zingaretti, che è Goffredo Bettini, convinto che Conte “guiderà l’Italia sino alla fine della legislatura”. Peccato, per Conte, che Bettini abbia dimenticato, diciamo così, di aggiungere l’aggettivo “ordinaria” alla fine di questa legislatura. Che pertanto potrebbe anche avere un epilogo anticipato.

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