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Energia

Vi spiego la capriola dell’Ue su Polonia

Con la crisi ucraina, la Polonia è diventata di colpo l'eroina dell'Unione europea. Ecco perché. L'analisi di Giuseppe Liturri.

 

Ha destato una notevole impressione vedere martedì pomeriggio il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel procedere a fianco del capo del governo polacco Mateusz Morawiecki lungo il confine tra Polonia ed Ucraina, nel gesto simbolico di accogliere i primi profughi.

È un fatto che, con l’aggravarsi della crisi dei rapporti tra Russia ed Ucraina fino al drammatico epilogo della guerra, Varsavia è diventata nel giro di pochi giorni l’avamposto della Ue e della Nato lungo quel fronte.

From zero to hero” titolava, non senza una certa dose di ironia, ieri il Financial Times. Chi fino a ieri era il principale grattacapo delle istituzioni di Bruxelles, oggi si ritrova a capeggiare la reazione delle democrazie occidentali contro la Russia.

Una reazione che prevede il decisivo ruolo dei polacchi sia sotto l’aspetto di piattaforma logistica per il trasferimento di armi al governo ucraino, sia per essere la principale destinazione dei flussi di rifugiati in fuga dal conflitto. Tale cruciale compito è stato subito ricompensato con l’annuncio dello stanziamento di 500 milioni a favore di Varsavia per gli aiuti umanitari a favore dei rifugiati ucraini.

È addirittura tornato in primo piano il “Triangolo di Weimar”, uno speciale coordinamento tra Polonia, Francia e Germania di cui si erano perse le tracce e che non si riuniva più da anni. All’improvviso martedì i tre rispettivi ministri degli esteri si sono riuniti a Lodz per dichiarare la loro “speciale responsabilità per il mantenimento di pace, stabilità e prosperità in Europa”.

E così è finito in secondo piano, se non proprio in soffitta, l’aspro confronto che ha contrapposto Varsavia e Bruxelles per anni, intensificatosi poi negli ultimi mesi.

È dell’inizio di febbraio la notizia che la UE avrebbe trattenuto dai pagamenti a favore della Polonia, la somma di €15 milioni dovuta a titolo di sanzione per la mancata chiusura di una miniera di lignite al confine con la Repubblica Ceca. Si tratta di €500mila al giorno che la Polonia si rifiutava di versare, ed allora la Commissione è passata alle maniere forti.

A questa multa, si aggiunge l’altra da €1 milione al giorno comminata alla Polonia per il mancato rispetto dell’ordinanza della Corte di Giustizia relativa alla Camera disciplinare della Corte Suprema polacca.

Ma questi sono spiccioli rispetto ai 36 miliardi (24 sussidi e 12 prestiti) relativi al PNRR polacco tuttora in attesa di valutazione da parte della Commissione, dopo che la Polonia era stato uno dei primi Stati a presentare il proprio piano a Bruxelles il 3 maggio 2021. I due mesi a disposizione della Commissione sono ormai diventati dieci, durante i quali c’è stato un continuo ping pong tra la Commissione ed il governo di Morawiecki che era ritenuto – in modo insindacabile senza alcuna possibilità di contraddittorio – inadempiente rispetto ai principi dello Stato di diritto.

Il 16 febbraio lo scontro è poi diventato al calor bianco. La Corte di Giustizia ha infatti respinto il ricorso di Polonia e Ungheria che chiedevano l’annullamento di un regolamento di fine 2020 contenente una disciplina generale per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione in conseguenza di violazioni dei principi dello Stato di diritto. La sanzione per gli Stati membri ritenuti colpevoli dal Consiglio, su proposta della Commissione, è la sospensione di tutti i pagamenti del bilancio e di tutti i programmi. Una norma non immediatamente esecutiva – c’è infatti da attivare un’apposita istruttoria e seguire una ben dettagliata procedura – ma una seria mannaia sul capo di chi da anni viene ritenuto dalle istituzioni UE un vero e proprio reprobo da guardare con sospetto in ogni consesso europeo.

L’inversione a U non è solo dei vertici della UE. Anche Morawiecki è passato in pochi mesi dalla totale avversione all’esercito europeo alla richiesta di un sostanziale raddoppio della spesa UE per la difesa. il prossimo 10 marzo – quando i leader si incontreranno per una riunione prevedibilmente monotematica – la freddezza che si toccava con mano durante le ultime riunioni del Consiglio Europeo sarà solo un pallido ricordo. Morawiecki, Ursula Von der Leyen e Emanuel Macron suoneranno un unico spartito.

C’è allora da prendere lucidamente atto di come funziona (non da oggi) la UE: ci sono dei rapporti di forza che, di volta in volta, dettano i comportamenti e le scelte che ne scaturiscono. In barba alle regole ed ai tanto decantati principi dello Stato di diritto e della democrazia. Se lo Stato membro di turno è funzionale al progetto ed agli interessi del gruppo di controllo politico, le regole si interpretano e i soldi arrivano; se – come ad esempio il governo Conte 1 a fine 2018 – a Bruxelles aleggia anche il solo sospetto del non allineamento, lo Stato malcapitato viene dato in pasto ai mercati e messo sulla lista nera. Un banale mercimonio all’insegna degli interessi e delle convenienze del momento, ed il caso polacco è un classico e clamoroso esempio.

C’è da scommettere che i 500 milioni di aiuti diretti a Varsavia questa volta non saranno tagliati per le multe non pagate, perché chi fino a ieri era assimilato ad uno Stato “canaglia”, oggi è all’improvviso additato come il depositario dei principi di democrazia e difensore del diritto internazionale. Il diritto à la carte.

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