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Vi spiego il ruolo di pivot in Sudamerica del Brasile di Bolsonaro (anche in Venezuela)

L'analisi di Carmine de Vito per Affarinternazionali

 

Le condizioni e gli equilibri strategici in America Latina sono profondamente cambiati con l’insediamento ufficiale alla presidenza del Brasile di Jair Bolsonaro il primo gennaio. Il neopresidente, com’è nel suo stile, ha subito fatto intendete che cosa è ora il Brasile e soprattutto qual è il suo nuovo ruolo nello scacchiere geopolitico internazionale. Il ‘Gigante’ s’è mosso: l’arresto dell’ex terrorista dei Pac (Proletari armati per il comunismo) Cesare Battisti, latitante da 37 anni, e la crisi venezuelana con il riconoscimento a presidente ad interim dell’autoproclamato Juan Guaidó, leader dell’opposizione al governo chavista in carica, sono il segno tangibile e plastico del cambiamento della politica estera brasiliana in ottica identitaria e di neo-primazia, rivolgendo le sue relazioni verso Stati Uniti, Israele, Giappone e anche Italia.

LA CRISI VENEZUELANA

 La nuova convergenza geo-strategica Usa-Brasile si è immediatamente affermata nella crisi venezuelana con un considerevole riallineamento culturale della gran parte dell’area continentale americana, con la sola importante eccezione del Messico di Andrès Manuel Lopez Obrador.

In Italia il vice-premier Matteo Salvini ha aderito all’asse sovranista Trump-Bolsonaro, anche se la posizione ufficiale del governo italiano rispecchia la posizione dell’Ue del perseguimento di una soluzione pacifica e democratica.

Dalla parte di Maduro ci sono Russia, Cina, Turchia e Iran come potenze globali e regionali. In Europa, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Portogallo spingono per legittimare Guaidó. Il giovane ‘autoproclamato’ presidente ad interim non è uno sprovveduto e ha con tutta evidenza agito coordinando prassi e modalità con le diplomazie interessate e con parte delle strutture ufficiali venezuela.

Però, la spallata tipo ‘soluzione Ucraina’ non è riuscita: il gesto di Guaidó non ha prodotto gli immediati risultati di sfaldamento del blocco chavista, quindi dell’esercito bolivariano. Ad horas la partita tra Maduro e Guaidó è aperta, tra psicologia e geo-politica; e la soluzione dell’intervento militare esterno è estremamente improbabile.

IL BRASILE DI BOLSONARO

 Il cambiamento della politica estera brasiliana incide fortemente sul rapporto con gli altri Paesi dell’area, storicamente e logisticamente condizionati dall’ingombrante e potente economia brasiliana. Da solo il ‘Gigante’ verde-oro rappresenta in termini spaziali la metà del continente sudamericano, confinando con tutti i Paesi ad eccezione del Cile.

Il cinismo nelle relazioni internazionali diventa simbolismo politico. Nulla ha potuto la Bolivia di Evo Morales dinanzi al “piccolo regalo” di Bolsonaro per Salvini come ha twittato immediatamente il figlio del presidente, Eduardo, dopo la cattura di Battisti. Piccola e impopolare sarebbe stata la battaglia di principio sulla sua richiesta d’asilo politico; non comprensibile per l’opinione pubblica boliviana, estranea a qualsiasi coinvolgimento storico e di relazioni con l’Italia.

Soprattutto quando poi lo stesso Morales rivendica l’estradizione dagli Usa per crimini contro l’umanità dell’ex presidente Sanchez de Lozadadetto ‘Goni’ o peggio ‘el Gringo’, fuggito a Miami dopo la indiscriminata repressione di El Alto con la morte di 50 manifestanti.

Il caso Battisti – nella strategia dell’ultradestra brasiliana – è stato scientemente proposto lungo tutta la campagna elettorale per le presidenziali come controcanto alla discussione sull’habeas corpus dell’ex presidente Lula da Silva, incarcerato nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato per corruzione, ma sempre in testa nei sondaggi elettorali. Battisti, presentato come il ‘cocco’ della sinistra brasiliana, il mix perfetto tra corruzione, terrorismo e mal governo, si è trasformato, dopo la vittoria, nella migliore opportunità di riavvicinamento tra Brasilia e Roma.

LE PRIORITÀ STRATEGICHE

Vi è il cambio delle priorità geografiche: il Sud America non è più il la base per il posizionamento del Brasile come leader regionale, quindi player globale, una strategia sostenuta dal governo del Partido dos Trabalhadores (Pt), soprattutto da Lula da Silva. Adesso le priorità sono le relazioni asimmetriche: avvicinamento strategico con gli Stati Uniti, Israele, Giappone, l’Europa e, dentro l’Europa, soprattutto l’Italia.

Per l’amministrazione Bolsonaro è un approccio ‘pragmatico’ e ‘deideologizzato’ alla politica estera, con una perfetta resa comunicativa volta a ridimensionare la virata identitaria in politica interna che, come tutti i fenomeni politici, è profondamente ideologica.

Tale approccio muta la geopolitica della regione: si profila un asse con il Cile di Sebastian Piñera – il primo bilaterale sarà al palazzo della Moneda – e, soprattutto, con la Colombia del nuovo ‘uribista’ Ivan Duque. Alvaro Uribe Velez, carismatico ex presidente colombiano, ha pubblicamente definito Bolsonaro un “grande esempio” per l’America latina. Cile e Colombia sostengono in politica estera la medesima linea: priorità a relazioni asimmetriche con gli Stati Uniti, privilegiando un regionalismo ‘aperto’, come quello dell’Alleanza del Pacifico.

IL SOVRANISMO VERDE-ORO

Il fenomeno politico Bolsonaro può assolutamente essere collocato nella galassia sovranista dell’ultradestra mondiale. Quello che lo caratterizza nella società brasiliana è la sua capacità di strutturarsi su basi esclusive. Gli attori che ne hanno facilitato l’arrivo al potere e che collaborano alla sua visibilità pubblica sono le cosiddette ‘comunità degli eletti’: i militari, le chiese evangeliche, la comunità ebraica, giapponese, italiana, tedesca, coese nella loro pretesa integrità contro il disfacimento dei costumi, della famiglia e del senso di comunità.

Quello che non si è inteso, o che – peggio – si è sottovalutato, è stata la sua capacità di offrire soluzioni a una società con numerose paure e frustrazioni, cui il governo del Pt ha risposto solo in parte o solo per alcuni settori; di dare eco alla richiesta di normalità di una società al paradosso.

BRASILE E ITALIA, UNA VICINANZA UTILE

 L’avvicinamento del Brasile all’Italia, e viceversa, è sia ideologico che pragmatico, perfettamente dentro la dottrina Trump ‘dell’utilità‘. Nella visione di Salvini, i due governi, in una triangolazione geo-strategica con gli Stati Uniti, beneficiano di reciproca legittimità e agibilità sia nelle loro aree di riferimento e sia nei fori multilaterali dove – trasversalmente – possono sovvertire le politiche di blocco determinate.

Altro elemento essenziale nel recupero delle storiche e privilegiate relazioni italo-brasiliane è la ritrovata centralità della dinamica comunità italiana, importantissima nella vittoria di Bolsonaro – lui stesso ha origini italiane, che si intrecciano tra Toscana, Veneto e Calabria -, senza contare le enormi opportunità di mercato in settori sinallagmatici come l’alimentare, l’energia, l’ingegneria, la meccanica e la tecnologia militare.

Sia la matrice identitaria che l’opportunità strategica avvicinano Bolsonaro e Salvini, entrambi caratterizzati da sentimenti anti-establishment, protagonismo politico e tratti originali di populismo.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

 

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