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Vi spiego i veri motivi (politici) delle bordate fra Italia e Bruxelles sulla manovra

Che cosa succede davvero tra il governo Conte e la Commissione europea sulla manovra? Il commento di Pierluigi Magnaschi, direttore del quotidiano Italia Oggi

Tra la Commissione europea e il governo italiano a guida pentaleghista non è scoppiato un contenzioso su delle cifre percentuali relative all’aumento del pil o che riguardano il rapporto debito pubblico/pil, come i politici e le isteriche prese di posizione mediatiche vorrebbero farci credere. Certo, le cifre contano, non c’è dubbio. Ma non sono così determinantemente mortifere come vengono descritte nella narrazione prevalente. Tant’è che, chi più, chi meno, quasi tutti i paesi dell’area euro non le rispettano, Germania compresa. Per non parlare della Francia. E non solo l’anno prossimo, ma anche in molti anni precedenti. L’implacabile Pierre Moscovici, il commissario francese che oggi è responsabile delle finanze in Europa, e che quando parla dei conti italiani perde il suo aplomb naturale e gli viene la bava alla bocca, quando era ministro dell’Economia in Francia fece passare un bilancio pubblico con il 3,4% di rapporto debito/pil quando adesso il governo italiano viene redarguito perché propone un bilancio con il 2,4%.

Non solo, il glaciale Moscovici che oggi, con aria sacerdotale, invoca lo scrupoloso rispetto delle regole comunitarie, quando era ministro dell’Economia a Parigi, non solo, come si è visto, violava le regole con grande disinvoltura ma aggrediva addirittura a male parole e in pubblico la Commissione europea che tentava di farlo rientrare nei binari della correttezza, dicendo (come se fosse stato un Di Maio o un Salvini qualsiasi) che lui era stato eletto dal popolo e quindi non era disposto a prendere gli ordini da degli euroburocrati.

Se il contenzioso non si basa sulle famose e troppo strombazzate cifre percentuali, allora perché è scoppiata adesso una rissa così fragorosa fra Roma e Bruxelles? Il motivo lo ha spiegato molto bene, ieri, il più diffuso quotidiano francese, le Figaro, che è riuscito anche a sintetizzarlo in un titolo esemplare di sole 42 battute. Il titolo dice: «Bilancio: l’Italia rifiuta di obbedire a Bruxelles». Il confronto quindi non è di tipo ragionieristico ma di tipo politico. L’Italia legastellata infatti non solo non obbedisce ai diktat della Commissione europea ma (questo è il vero punto dolente) ostenta la sua soddisfazione nel disobbedire, con risposte pubbliche polemiche, insolenti e persino brucianti.

Per Bruxelles e per i grandi poteri (politici, economici, finanziari e geostrategici che fanno massa attorno a Bruxelles) questo è, comprensibilmente, un affronto da non lasciar passare perché, ecco l’altro fattore che è emerso solo nell’ultimo anno e, in modo evidente, dopo l’esito elettorale dello scorso 4 marzo in Italia, gli equilibri comunitari, che hanno resistito per mezzo secolo, adesso vengono messi in discussione, quando non si stanno addirittura sgretolando. E quindi è comprensibile che siano allarmati coloro che sono alla guida dell’auto comunitaria che sta perdendo le ruote.

Markus Ferber, 53 anni, europarlamentare della Csu (la Dc bavarese che, su molti punti, non è certo ostile a Salvini) e membro della Commissione Affari economici e monetari a Strasburgo, dice al Corsera che l’Italia non ha mai brillato,nel recente passato, per la sua correttezza nella gestione delle risorse pubbliche. E lo dice in modo molto chiaro, senza arroganza ma anche senza fare sconti: «Mario Monti», dice Ferber, «ha promesso molto e non ha realizzato nulla. Idem Matteo Renzi. Perfino Gentiloni è stato sulla stessa linea». Ferber aggiunge, in modo oggettivo ma senza far sconti a nessun governo italiano, che «il tempo comprato dalla politica espansiva della Bce con il Quantitative easing non è stato usato (ripeto: dai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, ndr) per fare le riforme strutturali mentre la Bce, adesso e come previsto, si prepara a concludere il suo programma di acquisti di titoli pubblici e questo metterà l’Italia sotto ulteriore pressione».

Quando il governo Renzi presentava il bilancio con un rapporto debito/pil al 3,2% (anziché al 2,4% attuale del governo Conte) non succedeva niente perché Bruxelles, a fronte di obblighi non evidenziati, ma pesantemente concreti, concedeva più flessibilità al governo italiano che si presentava in forma supina. Una parola, flessibilità, che sa di ipocrisia ma che nessuno ha mai messo in discussione. Si diceva flessibilità infatti ma solo gli addetti ai lavori capivano che si trattava di uno sforamento.

Quando l’intelligente ma anche ingenuo Macron chiese al governo legastellato appena eletto e formato, di adempiere immediatamente agli obblighi contratti dai precedenti governi di centro sinistra italiani, attuando gli hotspot, egli si riferiva agli accordi concessi dal governi nostrani e pagati da Bruxelles in flessibilità (cioè in autorizzazione allo sforamento del debito pubblico). Anche qui c’è un imbroglio lessicale per non farsi capire dal popolo. Gli hotspot infatti, tradotti in un italiano comprensibile, sono dei campi di concentramento di immigrati che avrebbero dovuto essere allestiti in Sicilia. Un vergognoso pedaggio. Che Salvini ha respinto all’istante, annunciando altresì che non avrebbe accettato neanche i movimenti secondari. Anche questa è una parola senza senso, usata sempre per non farsi capire, con la quale ci si riferisce al respingimento automatico degli immigrati che, dopo essere sbarcati in Italia, sono passati in altri paesi europei.

Anche questo principio assurdo, che scarica sulla sola Italia la responsabilità e il peso di accogliere i migranti attraverso il Mediterraneo, è stato accettato dai precedenti governi italiani a seguito di regalie varie, tipo la flessibilità, per cui oggi sarà molto difficile opporvisi ma è comunque anche possibile. Sia pure a costo di conflitti non facili da evitare. E che Salvini ha già detto di essere disposto a sostenere.

Lo scontro con l’Italia, reso rovente dalla gestione di questi argomenti, viene reso ancora più pesante dalla circostanza che la maggioranza politica oggi egemone a Bruxelles, Strasburgo e Francoforte, è innervosita (usiamo un eufemismo) dal fatto che non è escluso che nelle elezioni europee della prossima primavera possa essere sostituita da un’altra maggioranza. Salvini e Di Maio danno per scontato che questo cambio di maggioranza avvenga. Ma non è detto. È vero infatti che i sovranisti sono usciti alla scoperto e hanno dimostrato tutta la loro pericolosità, non solo nei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) ma anche in Baviera, in Italia e hanno ripreso fiato pure in Francia dove il partito della Marine Le Pen ha superato, nei sondaggi, quello di Macron. Il movimento è imponente ma non è certo che vincerà. Ecco perché Salvini e Di Maio sono, per il momento, sotto schiaffo.

(articolo pubblicato su Italia Oggi)

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