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Investimento Cina

Vi spiego i tormenti finanziari dell’economia cinese

L'analisi di Alessia Amighini, professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell'ISPI, tratta dal sito Lavoce.info

Nel 2018 l’economia cinese ha perso slancio, soprattutto a causa degli sforzi del governo per contenere gli elevati livelli di indebitamento delle imprese. Il rapporto tra attività e passività è diminuito per tutti – più per il pubblico che per le aziende private – e i prezzi delle azioni ne hanno pagato le conseguenze, mettendo in difficoltà le stesse imprese e bruciando i risparmi di molte famiglie. Il principale indice di borsa, lo Shenzhen Composite Index, ha perso il 33 per cento dall’inizio dell’anno, infettando anche le borse occidentali. Lo scorso dicembre l’enorme settore industriale cinese si è contratto per la prima volta in due anni e mezzo. È vero che i servizi sono andati molto meglio, ma resta da vedere come il settore, composto principalmente da società di software e servizi alle imprese, possa mantenere questo ritmo con una produzione industriale in calo.

In questo contesto, non si vede come gli investimenti, l’unica vera fonte di crescita negli ultimi 40 anni, possano rimanere stabili. Sia il finanziamento del credito che la raccolta di risorse in borsa sono più difficili che mai, quindi molte società private sono arrivate al punto di chiedere o accettare partecipazioni statali e, allo stesso tempo, molte aziende statali hanno accolto con favore il capitale privato. Ciò crea un sistema di partecipazioni pubblico-privato volto più a coprire i problemi di debito che a risolverli. Più partecipazioni statali nelle aziende spesso significano meno produttività e meno efficienza, i due punti di forza del settore della produzione privata nei trenta gloriosi anni (1980-2010). Vi è una massiccia ri-nazionalizzazione da parte dei governi locali di società precedentemente privatizzate, un fenomeno già presente tra il 1999 e il 2007, ma in aumento dal 2014, con conseguenze negative sulla redditività e sulla produttività del lavoro (è legato al riassorbimento di parte dei disoccupati). I dati a livello provinciale mostrano che una maggiore frequenza di ri-nazionalizzazione è associata a maggiori riduzioni del tasso di crescita della provincia.

Tuttavia, i segnali più preoccupanti provengono dai dati di consumo. Sebbene il settore delle vendite al dettaglio e online rimanga vivace, gli acquisti di auto, tradizionalmente un indicatore del dinamismo della domanda, sono in netto calo. Secondo i dati di Oica (Organizzazione internazionale dei produttori di autoveicoli) e Caam (l’associazione dei costruttori di automobili in Cina), nel 2018 le immatricolazioni sono state 28,1 milioni, il 2,8 per cento in meno rispetto all’anno precedente. È il primo declino dal 1990 nel più grande mercato automobilistico del mondo, fonte di profitti per molti produttori cinesi e stranieri.

Le autorità cinesi si trovano ora a corto di soluzioni facili: negli ultimi decenni, quella preferita era il credito a basso costo, che oggi deve essere evitato. Le misure finora introdotte – riduzioni fiscali, tagli delle aliquote e nuove opere infrastrutturali finanziate dallo stato – sono volte a evitare il peggio, cioè una brusca frenata (hard landing) dell’economia. Che avrebbe effetti devastanti in tutto il mondo, dal momento che la Cina contribuisce oggi alla crescita del Pil mondiale per il 33 per cento (tre volte tanto gli Stati Uniti) e il suo Pil rappresenta il 27,2 per cento del totale mondiale – secondo Bloomberg, destinato a salire al 28,4 per cento nel 2023. Per ora l’eventualità della frenata brusca sembra essere scongiurata. In questo senso, anzi, il rallentamento dell’economia cinese non è una notizia così negativa come si potrebbe immaginare, perché è controllato. La crescita cinese sta prendendo un ritmo più sostenibile e ciò riduce la probabilità di hard landing.

Il governo cinese ha dimostrato di essere molto abile nella gestione dei fattori economici interni, pronto a intervenire con manovre a breve e a lungo termine, ma non può controllare i fattori esterni più insidiosi che al momento presentano un elevato grado di incertezza.

 

(estratto di un articolo pubblicato su Lavoce.info; qui la versione integrale)

 

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