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Sindaco Di Ravenna

Vi spiego case ed effetti dell’alluvione. Parla il sindaco di Ravenna

Conversazione di Italia Oggi con Michele de Pascale, sindaco di Ravenna

 

«Basta difendere le nutrie, non è questo l’ambientalismo di cui abbiamo bisogno. Il governo convochi la regione e noi comuni per avviare un piano di grandi opere di ingegneria idraulica per la tutela del territorio, con poteri straordinari di intervento e tempi contingentati, da parte nostra riceverà la massima collaborazione e lealtà. Non possiamo continuare a vivere del buon lavoro fatto in passato, non basta più». A parlare è Michele de Pascale, quarantenne sindaco pd di Ravenna e presidente della provincia, in prima linea nella gestione dell’emergenza alluvionale che ha colpito l’Emilia Romagna. Dal Coc, centro operativo comunale, ha coordinato h24 un centinaio di persone per gli interventi nel ravennate, «le prime ore sono state dure, con l’arrivo degli uomini della Protezione civile abbiamo fatto un grande passo avanti». Non è un esperto di emergenze, de Pascale, ma conosce il territorio, sa quali sono i punti deboli, «mi sono documentato in questi anni, abbiamo già avuto altre due allerte, per fortuna poi rientrate, prima di questa». E ancora: «Ho rifatto il piano di protezione civile nel 2021, e meno male. Abbiamo pianificato cosa fare in caso di esondazione dei fiumi, in questo caso invece hanno esondati i canali. Ma senza quel piano la nostra risposta sarebbe stata più lenta e meno efficace».

I comuni dovrebbero avere tutti un piano di protezione civile, molti ne sono privi.

È indispensabile. L’ho rifatto nel 2021 con un’analisi che prendeva in considerazione anche lo scenario dell’allagamento della città. Noi avevamo immaginato l’evento causato dai fiumi e invece hanno esondati i canali consortili, per cui abbiamo poi dovuto in corsa adattare il piano, ma se non lo avessimo avuto la nostra risposta sarebbe stata più lenta e meno efficace. Con il servizio di allerta, per esempio, spingo un bottone e parte un messaggio telefonico per 40 mila cittadini con l’ordine di evacuazione o di salire ai piani alti. Ma un buon piano non basta.

In che senso?

I piccoli comuni anche se fanno rete non hanno le risorse per approntare i primi interventi. Io al Coc ho potuto contare su un centinaio di persone che coprivano h24 solo la gestione dell’emergenza. Come può gestire un’alluvione il sindaco di un paese di 5mila abitanti che ha le mie stesse responsabilità ma non le mie risorse? Come può farlo da subito, sin dalle prime ore?

E quindi?

Serve un sistema nazionale che appena scatta l’allerta invii sul posto unità specializzate a coordinare e supportare le operazioni degli enti locali, a maggior ragione se questi sono piccoli enti. Anche a Ravenna le prime ore da soli è stata dura, con l’arrivo della Protezione civile abbiamo fatto un salto di qualità.

Quanto ha contribuito l’intervento dell’uomo nel dissesto del territorio?

Ci sono luoghi che si sono alluvionati per colpa dell’uomo che ha cementificato i fiumi, ha asfaltato i campi, ha ridotto la permeabilità dei terreni. Il ripristino di condizionati di naturalità in questo caso sarebbe la risposta al problema. Ci sono altri luoghi, ed è il caso del nostro, naturalmente alluvionabili. Il ravennate è terra di paludi, Dante muore per la malaria contratta qui. Poi nel 1700 sono stati deviati due fiumi fuori la città, a fine Ottocento i nostri braccianti, e tra questi il mio bisnonno, hanno iniziato a pulire i canali, a creare gli argini, a bonificare. Nel Novecento, abbiamo avuto il Cer e l’ampliamento del Cavo napoleonico, giusto per dirne due. L’intervento dell’uomo ci ha salvato da una natura che ci condannava. Lasciar fare solo alla natura significa tornare alle paludi.

E ora?

Sono necessarie nuove politiche, energetiche e ambientali, ma anche nuove grandi opere che tutelino il territorio a fronte del cambiamento climatico. Quello che i nostri nonni e bisnonni hanno fatto non basta più. Dobbiamo ricostruire case e aziende, strade e viadotti ma anche saperli proteggere, rinforzando gli argini, creando le espansioni, gli invasi e potenziando le idrovore. Facendo manutenzione. E avendo chiare quali sono le priorità.

Lei è stato minacciato perché voleva eliminare le nutrie.

Le nutrie non sono autoctone, sono state importate per gli allevamenti di pelliccia. Fanno buchi enormi negli argini dai quali entra acqua che li indebolisce. Quando ho provato a fare i piani per controllarne la riproduzione sì, ho ricevuto minacce. Ma io dico no all’ambientalismo che tutela le nutrie o gli alberi nei canali e condanna l’uomo. Bisogna chiarire l’ordine delle priorità, come dicevo. Per me è chiaro.

(Estratto di un articolo pubblicato su italiaoggi.it)

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