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Dombrovskis

Chi è davvero Valdis Dombrovskis

Chi è davvero Valdis Dombrovskis e perché Von der Leyen l'ha nominato commissario Ue per il Commercio. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

Valdis Dombrovskis, 49 anni, ex premier della Lettonia, rappresenta a Bruxelles un paese che ha appena un milione 900 mila abitanti, molti meno di quanti ne ha la città di Roma. Eppure da un paio di giorni è considerato l’uomo di maggiore potere sull’economia dell’intera Unione europea. Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Ue, l’ha nominato commissario per il Commercio, in sostituzione dell’irlandese Phil Hogan, costretto in patria alle dimissioni in seguito alla sua partecipazione a una affollata festa in un golf proprio il giorno dopo che il governo di Dublino aveva decretato il divieto di assembramenti a causa della pandemia. La scelta di Dombrovskis al posto di Hogan è stata giustificata da Von der Leyen in base alla comune appartenenza dei due al Partito popolare europeo. Come a dire: un fatto interno al Ppe, e nient’altro.

Invece è molto di più. In primo luogo, questa nomina significa un’umiliazione politica dell’Irlanda. Von der Leyen, insieme a Dombrovskis, ha infatti nominato come commissario Ue anche l’eurodeputata irlandese Mariead McGuinness, attribuendole però soltanto due deleghe minori che facevano parte del dicastero guidato da Hogan (la stabilità e il mercato finanziario), mentre il ben più ricco portafoglio del Commercio è passato nelle mani di Dombrovskis, facendone così il dominus di tutte le questioni economiche Ue, in quanto l’ex premier lettore ha conservato tutte le deleghe precedenti: vicepresidente esecutivo della Commissione Ue con delega all’Economia, nonché rappresentante della Commissione durante le riunioni dei ministri finanziari dei 27 paesi Ue che siedono nell’Eurogruppo.

Il che significa che Dombrovskis, che ha fama di falco, continuerà a vigilare sui bilanci dei 27 paesi Ue e a marcare stretto il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, il quale, a differenza dei predecessori, non gode di una delega piena per il controllo dei bilanci nazionali.

Più che un dominus, per la verità, a Bruxelles c’è chi considera Dombrovskis un kapò dell’economia Ue, un fedele esecutore della linea di austerità imposta per anni dalla Germania al resto d’Europa. Una fama che l’ex premier lettone aveva cominciato a guadagnarsi in patria, dove nei cinque anni del suo governo (2009-2014) impose una serie di misure talmente dure da costringere più di 250 mila alettoni ad emigrare all’estero per sfuggire a una povertà che non aveva nulla da invidiare a quella inflitta alla Grecia. Un’emigrazione registrata dai censimenti: da 2 milioni 163 mila abitanti nel 2008, la Lettonia è scesa a un milione 908 mila nel 2019.

In Lettonia nessuno sembra rimpiangere Dombrovskis: a seguito dell’austerità da lui imposta come premier, il suo partito, Unione, è sceso dal 30 all’8% dei consensi elettorali. Ma grazie alla sua totale adesione ai principi dell’austerità, a Bruxelles, dove è approdato nel 2016, è diventato via via uno dei commissari più fedeli alle direttive tedesche, cumulando incarichi sempre più importanti nel settore economico, fino all’ultimo en plein di pochi giorni fa.

A ben vedere, anche la scelta di affidargli il portafoglio del commercio non è casuale. Da tre anni è in atto una guerra dei dazi commerciali degli Stati Uniti contro la Cina e l’Unione europea, che non promette nulla di buono per l’Europa, soprattutto per la Germania, la cui economia è fondata sull’export. Una guerra iniziata da Donald Trump nel 2018 con la decisione di introdurre dazi Usa sull’import di acciaio (25%) e di alluminio (10%), seguita da un rincaro del 25% dei dazi su una serie di merci prodotte da alcuni paesi europei, Italia compresa, come ritorsione americana contro gli aiuti di Stato all’Airbus. Aiuti riconosciuti come tali dalla Wto (Organizzazione mondiale del commercio), per cui Trump è stato autorizzato a introdurre dazi per 7,5 miliardi di dollari. Non solo. Appena l’Unione europea ha avanzato l’ipotesi di tassare i giganti del web Usa, Trump ha ordinato l’apertura di un’indagine, facendo balenare ritorsioni sulle auto importate dall’Europa, che sono soprattutto tedesche.

Negli ultimi mesi tra Usa e Ue vi sono stati alcuni approcci per porre fine a una guerra che non fa bene a nessuno. In agosto, a Bruxelles, è stato addirittura celebrato come un primo passo distensivo l’eliminazione da parte Ue dei dazi sulle aragoste importate dagli Usa. Ma servirà ben altro. «Nel commercio transatlantico non succederà molto nel prossimo anno», ha dichiarato di recente Fredrik Erikson, direttore del Centro europeo di politica economica internazionale. «Ciò che accadrà, dipenderà interamente dal prossimo presidente Usa. Se verrà rieletto Trump, temo che avremo più attriti e più protezionismo tra l’Ue e gli Stati Uniti». In questo scenario irto di difficoltà, piaccia o meno, l’Europa germanizzata ha affidato le sorti del proprio commercio a un kapò di sua fiducia. Sicuri che sia l’uomo giusto?

(Estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)

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