L’Anpi è un’associazione singolare; vuole rappresentare i partigiani italiani, ma è presieduta da Gianfranco Pagliarulo che non solo non ha mai preso parte alla Resistenza ma non ha mai vissuto neppure un giorno di guerra, visto che è nato anni dopo la sua conclusione. Inoltre l’Anpi si riconosce in un inno – Bella Ciao – che nessun partigiano ha mai cantato. Vi è un’ampia letteratura che conferma l’ estraneità della canzone alla guerra partigiana, tra cui la testimonianza di una personalità, come Giorgio Bocca, che partigiano lo è stato davvero. “Nei venti mesi della guerra partigiana – ha detto il giornalista/scrittore – non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto”. Da quell’evento venne lanciata nel 1964 nell’ambito di un concerto di musica popolare, ottenendo un grande successo che – grazie alla sua musicabilità e al testo semplice e diretto – portò la canzone a divenire per quanti combatterono dalla parte giusta, l’inno .della Guerra di Liberazione.
Ad essere onesti è comprensibile che la presidenza dell’associazione sia affidata a una persona che non aveva mai combattuto contro i nazifascisti. Prima o poi a questo cambio di guardia occorreva arrivarci perché il tempo passa anche per i patrioti valorosi; per aver potuto combattere nella guerra civile bisogna essere, oggi, quasi centenari. Diverso è il caso dell’inno. Dal momento che vi è un intero raccolta di canti partigiani (alcuni originali, altri riadattati da melodie popolari) molto più belli e intensi di ‘’Bella ciao’’ (che somiglia a ‘’Papaveri e papere’’ in stile Sanremo o alla ‘’Vispa Teresa’’ della nostra infanzia), non si capisce perché non si debbano scegliere le canzoni originali, quelle che i partigiani cantavano davvero intorno ai bivacchi sulle montagne.
Tra questi l’inno più bello è certamente ‘’Fischia il vento’’: un canto solenne, epico, che indica la via del coraggio e della speranza, sulle note della malinconia di chi ha intrapreso, tra le tante, la strada più difficile in quel preciso momento storico. Il testo di ‘’Fischia il vento’’ fu scritto dal comandante partigiano Felice Cascione (nome di battaglia Megu e medaglia d’oro della Resistenza), ligure, giovane poeta e medico neolaureato a Bologna, prima dell’8 settembre 1943. La melodia che in seguito venne utilizzata per accompagnare i versi era quella della famosa canzone popolare sovietica Katjuša, composta nel 1938 da Matvej Blanter e Michail Isakovskij. Era arrivata in Liguria in modo avventuroso, quando alla squadra partigiana comandata da Felice Cascione si aggiunse Giacomo Sibilla, nome di battaglia Ivan, reduce dalla campagna di Russia, dove nella regione del Donaveva imparato la canzone ‘’Katjuša’’ e la portò con sé in Italia. Il comandante Cascione, con altri compagni, adattò sull’aria russa i versi che aveva composto in precedenza.
‘’Fischia il vento’’ fu cantata per la prima volta a Curenna, frazione di Vendone, nel Natale 1943, ma fu diffusa ufficialmente ad Alto, nella piazza di fronte alla chiesa, il giorno dell’Epifania 1944. Tre settimane dopo Felice Cascione fu ucciso in battaglia dai nazifascisti, e la sua squadra da quel momento portò il suo nome. Subito dopo, questo nucleo partigiano si ingrandì, e anche il ventenne Italo Calvino, abitante a Sanremo, si arruolò in quel gruppo, con nome di battaglia Santiago.
Allo scrittore si deve anche il testo di una canzone scritto dopo la Liberazione con la musica di Sergio Liberovici. In seguito ‘’Fischia il vento’’ divenne l’inno ufficiale delle Brigate Partigiane Garibaldi, che già ne avevano un altro, il cui primo verso era: ‘’quando passa la Brigata Garibaldi’’. Nuto Revelli, da comandante partigiano, fu l’autore del testo di “Pietà l’è morta”. ‘’Compagni fratelli Cervi’’ conosciuta anche col titolo fruiva di un’aria degli arditi di guerra del ’15-’18. ‘’Festa d’aprile’’ è stata la rielaborazione di alcuni stornelli partigiani trasmessi da Radio Libertà operante a Sala Biellese e dovuta a Sergio Liberovici (del gruppo di Cantacronache) in occasione di uno spettacolo rievocativo della guerra partigiana. Volendo seguire negli anni l’influenza della Guerra di Liberazione sulla politica e la società, in particolare sui partiti di sinistra è molto bella la canzone che fa da colonna sonora al ‘’C’eravamo tanto amati’’ di Ettore Scola, un film importante anche se un po’ inquinato dalla teoria della Resistenza tradita che tanti guai ha provocato al Paese e alla sinistra.
I protagonisti sono tre ex giovani partigiani che, nella ritrovata democrazia, seguono strade diverse: il socialista si integra nel sistema, l’estremista rimane emarginato, il comunista è il solo personaggio positivo anche se è riuscito a cambiare ben poco rispetto alle aspettative (illusioni?) coltivate durante la Resistenza.