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Conte Di Battista

Vi racconto le convulsioni di Lega e Movimento 5 Stelle

Le tensioni interne al Movimento 5 Stelle capeggiato da Luigi Di Maio e alla Lega di Matteo Salvini viste dal notista politico Francesco Damato

 

Il governo gialloverde di Giuseppe Conte fa figli come la Cycas, una pianta molto bella e resistente -si consoli il presidente del Consiglio- originaria dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania ma diffusasi parecchio anche nei giardini italiani. Può ben diventare il simbolo del governo in carica questa pianta, che è di genere sia maschile, con un fiore che troneggia tra le foglie come un fallo, sia femminile, al cui centro si forma una gigantesca e morbida ovaia. Erano piante costose una volta. La loro diffusione le ha un po’ deprezzate, ma rimangono -ripeto- molto belle e resistenti.

Quando diventano troppe le foglie gialle, senza allusione al colore del movimento grillino, anche se i risultati elettorali del 26 maggio non sono stati esaltanti per i pentastellati, esse si possono recidere senza compromettere, anzi migliorando la pianta, che diventa più verde, senza allusione al colore della Lega, raddoppiata di voti e di consensi nelle urne. E che, a dire il vero, tenta ogni tanto di archiviare il suo verde di un tempo, quello di Umberto Bossi, per sostituirlo col blu, in tonalità più forte dell’azzurro ormai stinto, non a caso, della Forza Italia più volte fondata e restaurata dall’instancabile Silvio Berlusconi, espertissimo peraltro di giardinaggio. Pertanto il Cavaliere potrebbe cominciare col demolire e fare a pezzetti questo mio dilettantesco tentativo di applicare le piante alla politica, o viceversa.

Nato un anno fa, sulle soglie dell’estate, come si sa, per essere iscritto all’anagrafe come un governo bicolore, o bipartito, composto da grillini e leghisti, nell’ordine dei voti appena raccolti dagli uni e dagli altri nelle urne del 4 marzo per il rinnovo delle Camere, il governo Conte già in autunno, quando rischiò una procedura europea d’infrazione per debito eccessivo nella preparazione del bilancio del 2019, divenne di fatto tricolore. Il terzo partito, come fu battezzato dai giornali, era quello dei ministri tecnici, in particolare degli Esteri e dell’Economia, e infine dello stesso presidente del Consiglio, particolarmente sensibili alle preoccupazioni, ai moniti, ai suggerimenti e a quant’altro del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che seppe guidarli bene, dietro le quinte, ma un po’ anche davanti, nelle trattative comunitarie, sino a scongiurare la bocciatura comunitaria del bilancio trasformando il deficit del 2,4 al 2,04 per cento del prodotto interno lordo, noto di più con le sue iniziali: pil. Potenza di uno zero messo al posto giusto.

E’ un po’ quello che sta tornando, o potrebbe tornare a verificarsi in questa estate, sia pure a Commissione europea ormai scaduta, ma ugualmente insorta contro i conti italiani: non si è ancora capito bene se più per farci del male davvero, con multe e penalizzazioni speculative nei mercati finanziari contro i titoli del purtroppo enorme debito pubblico nazionale, o solo per tenerci a cuccia, tagliandoci unghie e qualcosa d’altro nelle trattative sulla distribuzione delle cariche dell’Unione con l’insediamento dell’Europarlamento eletto il 26 maggio, senza lo sfondamento dei cosiddetti sovranisti. Per cui le danze continuano a volerle condurre i popolari, o democristiani, come li chiamavamo una volta, e i socialisti con l’aiuto maggiore, questa volta, di centristi alla Macron, all’ingrosso, verdi e liberali. Di grillini e leghisti, o viceversa, dati i loro novi rapporti di forza, neppure a parlarne quindi, anche se di parlare non smette in Italia Matteo Salvini: e tanto forte da farsi sentire a Bruxelles, specie ora che reclama per l’Italia la ricetta economica a stelle e strisce di Donald Trump, già abbastanza ingombrante di suo per stare quindi a descrivere gli effetti, positivi o negativi, che può procurare una sua semplice strizzatina d’occhio.

Il governo tripartito aveva almeno un vantaggio, sino a qualche giorno o settimana fa: un’accettabile unità interna degli altri due partiti, pur con le solite differenze, gelosie, concorrenze, ipocrisie e simili. Adesso invece il movimento grillino è esploso nella sua frustrazione da sconfitta elettorale, con Alessandro Di Battista che, avendo imparato il mestiere anche di falegname, appare a torto o a ragione come l’aspirante cassamortaro -dicono nella sua sua Roma- del povero Luigi Di Maio. Che si è stancato di fingere la parte del fratello, o quasi, ed ha cominciato a lanciare segnali non dico di insofferenza, ma di guerra vera e propria, definendo Dibba, nome d’arte di Alessandro Di Battista, “destablizzatore”. E’ un po’ come ai tempi del Pci i dissidenti venivano liquidati, e a volte anche radiati, come “frazionisti”.

Ma ora scricchiola anche la Lega di “capitan” Salvini, che non riesce più a tenere uniti i suoi a sfogliare la margherita della crisi sì e crisi no, fra un annuncio e l’altro delle tante cose ancora da poter fare insieme ai grillini, nonostante tutto, sino all’esaurimento ordinario della legislatura, addirittura.

Già visibilmente insofferente da tempo, Giancarlo Giorgetti, che è l’uomo di fiducia voluto e posto da Salvini a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, anziché starsene calmo ad attendere la promozione promessagli a commissario europeo a non si sa ancora bene cosa, o proprio per questo, ha aggiunto all’abitudine di dire che “così non si può andare avanti”, né lontano né vicino, il coraggio di liquidare come “inverosimili” i cosiddetti minibot, destinati ai creditori della pubblica amministrazione e sostenuti un giorno sì e l’altro pure dal collega di partito e presidente di commissione parlamentare Claudio Borghi. Il quale gli ha risposto a brutto muso assicurando di godere anche della condivisione di Salvini in persona, e risparmiandogli -debbo dire- l’argomento di ferro di cui dispone e che tutti fingono di ignorare o di avere dimenticato: il voto unanime -ripeto, unanime- con cui il Parlamento si è recentemente pronunciato a favore, con l’appoggio del rappresentante di turno del governo in aula. Ma questa è un’altra storia da infiochhettare sotto la Cycas del Conte, col premesso anche del buon Mario Draghi, insorto contro i minibot prima ancora del suo amico ed estimatore Giorgetti.

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