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Cile

Vi racconto la settimana che ha cambiato il Cile. L’approfondimento di Zanotti

La più grande manifestazione popolare degli ultimi decenni in Cile: un milione di cileni in piazza. Obiettivi, scontri e risultati nell’approfondimento di Livio Zanotti

Pacifica, colorita e immensa, una concentrazione popolare senza precedenti negli ultimi decenni del Cile ha riunito nel centro della capitale oltre un milione di persone (dato fornito dalla municipalità) e nuovamente sorpreso il governo. È finita male, con i carabineros che ormai verso la sua conclusione l’hanno attaccata per disperdere l’immancabile gruppetto di facinorosi, inseritosi su un fianco del corteo maggiore. Mentre il grosso dei cortei procedeva secondo i programmi verso il loro scioglimento. Il sisma che scuote la terra dei vulcani, però, stavolta è politico.

Negli scontri — non era difficile prevederlo né evitarlo, ma i responsabili dell’ordine pubblico hanno deciso diversamente — sono rimasti coinvolti anche numerosi manifestanti fino a quel momento del tutto inoffensivi e avvelenato un clima deciso, ma niente affatto bellicoso. Il fumo dei lacrimogeni ha moltiplicato il caos. Nel parapiglia è stata lacerata la gigantesca bandiera con i colori nazionali e la scritta (“NON SIAMO IN GUERRA”) polemica verso un’infelice uscita del Presidente Sebastian Piñera (che aveva affermato incautamente il contrario).

Convocati da decine di sindacati, organizzazioni di difesa dei diritti umani, associazioni culturali e di categoria, ma soprattutto da un moto spontaneo tanto forte quanto imprevisto, ragazzi e ragazze, intere famiglie, insegnanti, rappresentazioni di fabbriche ma anche alcuni religiosi, moltissime donne hanno invaso fin dal mattino dell’ultimo venerdì di quest’ottobre australe, chiedendo e anzi pretendendo a gran voce fino all’ora del coprifuoco che li costringe a rientrare in casa il ripristino dello stato di diritto, oltre che adeguamenti salariali e maggiori spese sociali capaci di mitigare le diseguaglianze (il 30 per cento della popolazione è sulla soglia della povertà).

Accompagnandosi con le musiche di Victor Jara (il notissimo cantante assassinato nei giorni del golpe, 46 anni fa), dozzine di comizi volanti, recital di poesie, ricordi di Salvador Allende e Pablo Neruda. E fasci di volantini che chiedono un pubblico giudizio per i generali accusati di arricchimento illecito, così come la fine delle “spese riservate” concesse ai militari e ritenute la fonte della corruzione che negli ultimi tempi ha decimato i comandi supremi dell’esercito e dei carabineros. Nessuno dei governi democratici succedutisi fino a oggi ha potuto infatti cancellare i privilegi corporativi che i corpi armati dello stato hanno ereditato dalla dittatura.

Trombe, fischietti e battimani hanno segnalato il mezzogiorno e messo in moto le colonne che prendevano a muoversi lungo entrambe le sponde del fiume Mapocho, gonfiandosi lungo il percorso, colmando il vialone dell’Alameda per confluire in una piazza Italia gremita e in tutta la zona adiacente. Confusi nella massa dei cittadini e nel continuo sovrapporsi di parole d’ordine, flash mob di attori professionisti o del tutto estemporanei, letture dei nomi dei 19 morti e delle centinaia di detenuti nei giorni scorsi, numerosi dirigenti politici dell’opposizione. Ma neppure un solo vessillo di partito.

I venti — trentamila giovani, non solo studenti— che la settimana scorsa hanno invaso tumultuosamente le strade di Santiago del Cile per opporsi all’aumento dei trasporti pubblici, sconvolgendola con incendi e saccheggi, hanno insomma fatto lievitare in otto giorni la più affollata e risoluta giornata di protesta dalla fine della dittatura di Augusto Pinochet. Da una rassegnazione apparente che simulava quiete, è sbocciata una generale richiesta di democrazia rimasta finora intimorita e muta, oppressa dai segreti che ancora costellano l’amministrazione dello stato.

Lo stesso El Mercurio, il giornale storico del conservatorismo cileno, il canone politico-culturale della borghesia più tradizionalista del Sudamerica, oligopolista, invisibile e onnipresente, felpata e irremovibile, orgogliosa di quelle che ritiene le sue austere virtù, ha fatto proprio il primo slogan dei manifestanti scesi in strada a Santiago del Cile:”Non è per 30 pesos, è per 30 anni!”. Ha titolato così l’articolo che spiega come l’incessante protesta che ha invaso prima le strade della capitale e poi quelle di Puerto Montt, Osorno, Concepciòn, Valparaiso, Antofagasta, Atacama, Iquique, dai vulcani ghiacciati dell’Araucania ai deserti del nord, rivendica ben più che l’abrogazione dell’aumento dei trasporti pubblici.

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