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Giorgetti

La gara tra Ferrara, Scalfari e Travaglio nel difendere di più Conte

Giuliano Ferrara è ormai in curiosa competizione con Eugenio Scalfari e con Marco Travaglio nella difesa di Conte come di una specie di nuovo uomo della Provvidenza capitato all’Italia. I Graffi di Damato

 

Un po’ se l’è cercata Giuseppe Conte con quel tentativo compiuto sul Corriere della Sera di minimizzare il contenzioso esploso col Pd e di darlo per superato, dicendosi orgogliosamente sicuro di non sentirsi “accerchiato”. Sullo stesso Corriere, il giorno dopo, un esponente non certo secondario del Pd, il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, parlando peraltro al plurale, gli ha detto che “sbagliare è un lusso non consentito”, o non più consentito, visto che anche nel contrasto al coronavirus egli ha fatto fatto sì “quel che doveva, ma non sempre con i risultati migliori”. Quando poi egli ha annunciato i cosiddetti Stati Generali dell’Economia, al solito sicuro del fatto suo, “abbiamo avuto la percezione – ha spiegato Marcucci – che non ci fosse grande serietà e lavoro nella preparazione di questo appuntamento”.

A scansare le “bollicine”, diciamo così, di queste parole non so francamente se sia bastata a Conte la mascherina chirurgica di questi tempi di epidemia.

Neppure in tema di rapporti col principale partito della coalizione giallorossa – altro che giallorosa, come in tanti cercano di attenuare scrivendone e parlandone – Marcucci è stato a questo punto paziente. Egli ha evocato, in particolare, il tema del ricorso contestatissimo dai grillini al Mes, inteso come meccanismo europeo di stabilità, o fondo salva-Stati, allo scopo di potenziare il sistema sanitario per affermare che “il governo ha il dovere di prenderlo in considerazione in tempi brevi” e di finirla “con gli approcci dogmatici” dei grillini. Che, in sintonia con gli ex alleati leghisti e coi fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, continuano a vedere e indicare nell’Europa solo un terreno disseminato di trappole per l’Italia, anche dopo la sospensione del cosiddetto e “stupido” patto di stabilità, secondo una vecchia definizione di Romano Prodi, gli aumentati interventi della Banca Centrale di Francoforte per acquistare i titoli del debito pubblico italiano, difendendoli dalla speculazione finanziaria, e la proposta non dell’Italia ma della Commissione Europea di mettere a disposizione di Roma circa 180 dei 750 miliardi di euro del fondo in cantiere per la ripresa o per “la prossima generazione”. Di cui una parte sarà peraltro a fondo perduto.

Giuliano Ferrara, ormai in curiosa competizione con Eugenio Scalfari e con Marco Travaglio nella difesa di Conte come di una specie di nuovo uomo della Provvidenza capitato all’Italia, iscriverà magari anche l’intervista del capogruppo del Pd al Senato in quella che ha appena definito sin nel titolo di un suo editoriale sul Foglio “l’irritante lite di governo in forma di cazzeggio”. Ma è ormai tanto evidente quanto innegabile lo stato di sofferenza al quale è arrivata la maggioranza di governo. Che Emilio Giannelli ha forse esagerato nella sua vignetta di prima pagina, sempre sul Corriere della Sera, a paragonare alla torre pendente di Pisa osservata, fotografata e sorvegliata da Conte in veste di turista, di presidente del Consiglio e chissà cos’altro. Quella è una pendenza un po’ troppo antica, storica e stabile per abbinarla al governo giallorosso.

A Conte intanto il sociologo Ilvo Diamanti su Repubblica ha consigliato di non lasciarsi tentare dall’idea di mettersi “in proprio” con un suo partito, affrancandosi da quella specie di mezzadria in corso dall’autunno fra il movimento delle 5 Stelle e il Pd, perché questi tempi sono ancora meno adatti di quelli passati a un partito “personale”, quale sarebbe il suo.

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