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General Electric

Vi racconto la bomba General Electric che rischia di scoppiare

Il commento di Fabio Dragoni

Le vecchie miniere di carbone non avevano sistemi di ventilazione e i minatori portavano quindi con sé un canarino in gabbia. Particolarmente sensibile al metano e al monossido di carbone, il canarino involontariamente rivelava la presenza di gas pericolosi. Fino a che si sentiva il cinguettio vi era la certezza che l’ aria fosse respirabile e sicura. La morte del canarino segnalava invece l’ allarme rosso di immediata evacuazione.

Mentre tutti i mezzi di informazione si perdono nel guardarsi l’ombelico favoleggiando di come lo spread potrebbe irrimediabilmente sconvolgere l’ economia italiana, quella che per decenni è stata un caso di scuola nelle più importanti scuole di management del pianeta oggi rischia di fare la fine del canarino preannunciando forse l’ arrivo di una prossima crisi planetaria a dieci anni esatti di distanza dal crack Lehman Brothers.

Con divisioni che spaziano dall’aviazione all’ energia, passando per i servizi finanziari e le apparecchiature biomedicali senza dimenticare il gioiello delle turbine a gas prodotte dalla controllata Nuovo Pignone acquisita nei primi anni novanta, la conglomerata General electric è passata non solo di moda come modello di business nelle aule universitarie ma è stata di fatto esclusa dal novero delle aziende titolate a finanziarsi nel liquido mercato delle commercial papers.

Titoli a scadenza inferiore ai 12 mesi in tutto e per tutto simili alle cambiali ed emesse dalle imprese più importanti per finanziare la propria attività a tassi particolarmente bassi. Il rating di Standard and Poors è stato abbassato alla Bbb+ (un gradino sopra la Bbb dell’ Italia). Una reputazione inadeguata per continuare a far parte del club.

Il più pronto a darne notizia e ad approfondire la cosa è stato Zerohedge, uno dei blog finanziari più apprezzati anche se meno allineati della business community stelle e strisce e non solo. Con i suoi quasi 120 miliardi di debito, altrettanti di fatturato, oltre tre volte di totale attivo e più di 300.000 dipendenti, General Electric non è più il simbolo del grande sogno americano.

Pur continuando ad avere un rating non speculativo, il suo debito sta iniziando a pagare rendimenti equiparabili alle obbligazioni cosiddette spazzatura (ovvero con rating inferiore a Bbb-). I suoi bilanci non sono quelli di un’azienda decotta come del resto però quasi mai lo sembrano quelli delle imprese prossime a gettare la spugna. I bilanci si fanno sulla base del principio della competenza economica. I fallimenti sempre per cassa, insegna il professor Valerio Malvezzi. Ge condivide certo con il meglio del made in Usa pesanti ribassi nei prezzi delle proprie azioni.

Nell’ultimo trimestre Facebook, Amazon e Netflix hanno perso circa un quarto del proprio valore. Apple quasi un quinto mentre Google resiste con un eroico -15%. Ma General electric veleggia intorno ai 7,80 dollari. Valori che toccava soltanto negli anni Novanta e pericolosamente non troppo lontani dal minimo storico di 6,66 dollari del 2009 nel pieno della bufera finanziaria.

Ma mentre allora Ge era uno dei tanti contagiati dal morbo della crisi oggi sembra quasi esserne l’epicentro. Il canarino dentro la miniera. I suoi numeri non sono troppo lontani da quelli di Lehman Brothers.

L’ America invece sì. Quella crisi la ricorda ancora eccome e i suoi vigilantes (Tesoro e la Federal reserve in primis) non si farebbero cogliere così impreparati come avvenne il 15 settembre di dieci anni fa. Gli strumenti finanziari che sarebbero capaci di mettere in campo la Banca centrale da un lato (emissione di base monetaria senza limiti) e la Casa Bianca dall’altro (acquisto di crediti problematici nei portafogli delle banche) sarebbero forse tali da evitare l’effetto domino in casa ma sicuramente non sufficienti ad impedire il propagare della crisi ad est dell’Atlantico.

Qui un’ Europa incapace e deforme ancora si gingilla mettendo sul banco degli imputati l’Italia con il suo debito pubblico. Dimostrando quindi di non aver imparato nulla dalla storia. Il debito pubblico non è mai la causa bensì la conseguenza di una crisi; anche per paesi monetariamente castrati e quindi incapaci di controllare direttamente la valuta in cui è denominato il loro debito come quelli dell’eurozona.

Non è un caso che Irlanda e Spagna con debiti inferiori al 60% del Pil sono stati fra i primi ad entrare in crisi nel 2009 e per salvare i quali sono stato necessari sostegni di tutti gli altri Paesi fra i quali l’ Italia.

Vengono proposte sanzioni per quest’ultima che sta rispettando alla lettera i Maastricht e Lisbona, con la sola scusa di non essersi adeguata ad un regolamento di rango inferiore (il Fiscal compact) che si preoccupa solo ed esclusivamente di stabilità finanziaria peraltro generando disordine.

E quindi palesemente in contrasto con gli obiettivi di Maastricht e Lisbona che pongono incredibilmente al centro della propria identità anche il sviluppo e la crescita dei Paesi aderenti lasciando almeno in origine a questi ultimi margini di flessibilità nell’impostazione della politica economica.

E nel mentre l’Europa si occupa di un non problema (il nostro debito) che potrebbe invece ben presto diventare un grosso problema per le Francia (le cui banche sono esposte nei confronti dell’ economia italiana per quasi 320 miliardi a fronte di un patrimonio di quasi 500) finge beatamente di ignorare l’ agonia di un secondo canarino che da tempo ha smesso di cinguettare segnalando ai minatori l’ arrivo di una possibile tragedia.

I poco più di 8 euro cui veleggia il titolo di Deutsche Bank sono infatti il minimo storico mai toccato da sempre. Una banca di fatto già bocciata negli stress test prima dalla Federal reserve nel giugno 2018 e poi ai primi di novembre dalla Banca centrale europea. Quella stessa istituzione che con scarso senso del ridicolo annuncia per bocca di una sua funzionaria di «incrociare le dita» per sperare nella salvezza delle banche italiane lasciando intendere che su queste ultime stia per abbattersi chissà quale cataclisma a causa del governo dei populisti mentre dovrà invece inventarsi qualcosa per rianimare il canarino tedesco nel frattempo toccato da inchieste riguardanti un sospetto riciclaggio di denaro di circa 150 miliardi.

 

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