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Medici Base

Vi racconto la bizzarra storia di noi medici pensionati (chiamati nuovamente alla leva)

L'intervento di Stefano Biasoli

L’Italia è proprio uno strano paese. Un posto in cui la memoria storica o è scomparsa o non serve a nulla. Un posto dove le “notizie false ” (ad esempio la modella morta per contaminazione nucleare) prevalgono su quelle vere, messe sempre in angolo, reiette.

Adesso, finalmente, la politica ha preso atto che la sanità è in crisi: crisi di finanziamenti (quasi bloccati dal 2008 in poi, e con una percentuale di finanziamento rispetto al pil inferiore alla media europea); crisi strutturale (pochi posti letto per acuti, insufficienza di posti letto per cronici, vetustà media degli edifici ospedalieri); crisi di affidabilità (come dimostrata dalle numerose cause sanitarie); crisi di organici (personale medico, infermieri, tecnici).

La politica se ne è accorta tardi, ma – come al solito – pensa di affrontare questa grave criticità con i “pannolini caldi” e non con soluzioni rapide, drastiche, ragionate.

Sono partite le giunte leghiste del nord (Veneto e Lombardia) a proporre il “richiamo alle armi” dei pensionati.

Si sono aggiunti i ministri dell’università e della salute a proporre lo sblocco del numero chiuso a medicina e 2000 borse di studio specialistiche in più.

Pannicelli caldi. Da parte di regioni teoricamente virtuose sul piano sanitario. Da parte di ministeri che, per decenni hanno ignorato il problema.

Chi scrive non può non ricordare l’allarme da lui lanciato in sede Aran, durante il Ccnl del 2002-2003 e del Ccnl 2008. Non puo’ non ricordare l’allarme espresso ai ministri dell’epoca, in veste di presidente nazionale della Cimo (confederazione italiana medici ospedalieri). Allarmi inascoltati, talora con espressioni (visive o di parola) chiaramente distoniche.

Quota 100 ha fatto esplodere il problema. Una frotta di medici ospedalieri (62 anni di età e 38 anni di lavoro) lasceranno volontariamente il rapporto di dipendenza, invece di proseguirlo fino ai 65 e talora ai 67 anni. Perché lo faranno? Perché sono stanchi di lavorare in un sistema sanitario che non premia né la professionalità (la carriera è stata azzerata da almeno 23 anni), né l’esperienza, né il plus orario settimanale, diventato – nei fatti – obbligatorio anche se poco retribuito o financo non retribuito.

Questi, i medici di quota 100, se ne andranno in pensione anche se – purtroppo- hanno perso 3 contratti di lavoro (ossia i Ccnl non stipulati in modo pieno dal 2009 ad oggi) e, quindi, andranno in pensione con un pesante danno sulla pensione definitiva (ovviamente più bassa delle previsioni del 2009) e con il furto del tfs/tfr : i soldi delle loro liquidazioni (maturate mese dopo mese) gli verranno erogati non entro 3-6 mesi dal pensionamento (come è avvenuto a chi scrive) ma nel giro di parecchi anni.

Mancano migliaia di medici specialisti ospedalieri, oggi. A partire dai 1300 medici mancanti in veneto e dai 1700 medici carenti in Lombardia. Migliaia di medici specialisti non rimpiazzabili perché, anche aumentando le borse di studio della specialistica e attivando i concorsi per i posti vacanti, non si risolverà il problema.

Perché la professione medica è ora estremamente rischiosa; perché fare il medico ospedaliero, oggi, significa guadagnare la metà di un medico francese o tedesco. Sessanta anni fa era esattamente l’opposto.

Veneto e Lombardia sperano di tamponare le carenze richiamando al lavoro i medici pensionati! Di quale range di età? 65-80 anni? Con quali contratti? Qualcuno si è dimenticato delle norme restrittive della legge madia, che sono ancora vincolanti. Recitano: lavoro gratuito per un anno; nessun nuovo rapporto di dipendenza. Di conseguenza, nel Ssn pubblico, potrebbero essere attivabili solo dei contratti libero-professionali, ma per fare cosa? Per fare le guardie (a una certa età!), per andare in sala operatoria o per fare ambulatori su ambulatori, mentre le liste di attesa si allungano?

E che interesse hanno, i pensionati, a lavorare? Quello di aumentare il reddito annuale, per essere poi massacrati (da questo stesso governo) con i tagli pensionistici legati al contributo di solidarietà obbligatorio e al taglio sulla rivalutazione?

I ministri coinvolti (sanità e università) pensano di sbloccare il numero chiuso a medicina. Ma, per formare un medico specialista, passano tanti anni: quelli di laurea e quelli di specialità. Circa 12, tra una cosa e l’altra. Oltre a tutto, dove piazzeranno – le università – questa folla di neospecializzandi: in quali aule, in quali laboratori, in quali corsie? E, scusate, ma chi ha mai redatto una seria statistica sugli specialisti mancanti, articolata per specialità e per Regione?

Anche la proposta di ricorrere ai medici stranieri cozza contro le norme vigenti. Un medico straniero, per poter essere assunto dal Ssn, deve avere la cittadinanza italiana, lunga però da ottenere. Lo stesso, iscritto che sia all’ordine dei medici, può invece lavorare nella sanità privata.

La madia ha rottamato i medici, pensando che folle di giovani si volessero iscrivere a medicina. Ha rottamato i medici anziani, impedendo loro di svolgere financo la funzione di “tutor”.

L’avevamo detto e ripetuto: 17 e 10 anni fa. C’è poca soddisfazione, in questo. Anzi, nessuna soddisfazione. Ma solo la tristezza di vedere andare a picco, per mancata programmazione, quel Ssn per cui abbiamo lavorato per oltre 40 anni, se si considerano anche gli anni universitari. Da un Ssn in crescita (anni 1970-1996) siamo franati su un Ssn basato sui budget e non sulle persone, cioè sulla qualità degli operatori sanitari tutti. Siamo passati dalla valorizzazione delle competenze ai tagli del personale apicale (i primari, per intenderci), fatti per risparmiare e non per razionalizzare le risorse.

Nessuna carriera, stipendi piatti, alto rischio, tante guardie, orari settimanali infiniti: chi vorrà fare, dopodomani, il medico ospedaliero? Solo un masochista. Per il resto, la risposta sta nel rapporto femmine/maschi delle nuove iscrizioni agli ordini dei medici.

Quaero et non invenio, meliora tempora. Diogene

Stefano Biasioli

Presidente della CIMO negli anni 1999-2009.

Medico pensionato (2008), ancora in attività, per scelta e non per convenienza.

Presidente FEDERSPeV della Provincia di Vicenza

Segretario dell’APS-LEONIDA.

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