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Vi racconto il Parlamento ai tempi del Coronavirus. I Graffi di Damato

Chiamiamoli pure effetti indotti del Coronavirus. Ecco quali sono secondo il notista politico Francesco Damato

Chiamiamoli pure effetti indotti del Coronavirus. Sono quei fatti politici che hanno potuto maturare e in qualche modo nascondersi dietro o fra le pieghe delle cronache sui focolai dell’infezione di origine cinese scoperti in Italia. Sono fatti tuttavia destinati a far sentire le loro conseguenze concretamente quando del Coronavirus si potrà finalmente parlare di meno per il suo auspicabile esaurimento o contenimento.

Il fatto più rilevante è l’accresciuta sproporzione fra il peso reale del maggiore partito della coalizione giallorossa, il Movimento 5 Stelle, e quello esercitato in Parlamento, dove sono passati o stanno passando in questi giorni provvedimenti che sembravano assai controversi, come quelli sulle intercettazioni e sulle cosiddette mille proroghe. Che cadono sulle nostre teste come la cenere quaresimale appena depositata sul capo di Papa Francesco, e fra la compiaciuta ironia di Marco Travaglio sul suo Fatto Quotidiano.

Con Matteo Renzi costretto a retrocedere dalle circostanze sanitarie, diciamo così, sino a mettersi spontaneamente in quarantena politica, uscendo dal tiro a segno diversamente dall’altro Matteo, Salvini, che vi è rimasto procurandosi problemi anche nel “suo” centrodestra, i grillini l’hanno spuntata con una nuova disciplina delle intercettazioni che dal 1° maggio, festa ancora del lavoro, ne garantirà di più solo ai pubblici ministeri e a chi potrà spiare troianamente – da Trojan – all’incirca chiunque e ovunque.

I grillini l’hanno spuntata anche lasciando in vigore del 1° gennaio scorso la prescrizione targata Bonafede, che scompare con l’esaurimento del primo dei tre gradi di giudizio. Resta invece incerto e indefinito il percorso della riforma del processo penale per stabilirne davvero la “ragionevole durata” incisa a parole nella Costituzione. Se ne accorgeranno, ben prima dei quattro o cinque anni di attesa che gli amici ottimisti del guardasigilli sbandierano nelle dichiarazioni e interviste, gli imputati nei processi per direttissima.

La potenza di fuoco dei grillini, per via della loro rappresentanza parlamentare conquistata nelle elezioni politiche di meno di due anni fa e tuttavia smentita negli appuntamenti successivi con le urne a vario livello, stride – a dir poco – con l’impossibilità da essi stessi riconosciuta di arrivare ad un chiarimento interno con i cosiddetti Stati Generali, annunciati per metà marzo e rinviati a tempo praticamente indeterminato.

Vito Crimi, il reggente subentrato al dimissionario Luigi Di Maio, rimasto “semplice” ministro degli Esteri, pur in questi tempi eccezionali per un titolare della Farnesina, è sempre più chiaramente contestato per la precarietà del suo mandato e per la incapacità di sciogliere i nodi che via via arrivano al pettine del movimento, come il modo, per esempio, in cui partecipare alle elezioni regionali di primavera: con o contro il maggiore partito alleato di governo.

La base delle 5 Stelle è così incerta e sbandata che nelle elezioni suppletive appena svoltesi a Napoli per la successione a un senatore grillino defunto ha potuto solo contribuire ad un’affluenza alle urne inferiore, nel suo complesso, al 10 per cento: roba legale, legittima, per carità, ma anche ridicola, senza con ciò mancare di rispetto a chi si è aggiudicato il seggio. E’ il giornalista Sandro Ruotolo, sostenuto soprattutto dal Pd e votato dal 48 per cento del 9,52 per cento degli elettori recatisi alle urne, contro il 23,23 per cento, sempre del 9,52, del candidato pentastellato Luigi Napolitano. Che per fortuna è solo parzialmente omonimo del napoletanissimo Giorgio, presidente emerito della Repubblica.

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