Dal mate alla motosega, ma è sempre Argentina. Il successo al voto legislativo del 26 ottobre dopo l’elezione alla Casa Rosada nel dicembre 2023, ha mandato in crisi quanti non si capacitano sul perché Javier Milei abbia vinto e rivinto. Com’è possibile che un liberista ultrà e un anti-socialista di ferro come lui abbia avuto la fiducia di un popolo educato all’assistenzialismo e devoto al peronismo?
E poi: come spiegare che un Paese che gode d’ogni tipo di risorsa, clima e intraprendenza della sua gente, sia entrato nell’inferno dell’insolvenza in economia per ben tre volte negli ultimi vent’anni?
Per risolvere l’enigma politico-finanziario, bisogna chiedere aiuto alla letteratura. Ancora oggi resta insuperabile la diagnosi dello scrittore Jorge Luis Borges. Diceva dei suoi connazionali: “Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono inglesi”.
Guardando Milei, che governa all’insegna della celebre motosega, cioè cercando di tagliare tutto ciò che imprigiona la libertà e la libera iniziativa del suo impantanato Paese, si ha la conferma sul perché l’Argentina rappresenti l’incontro esplosivo dell’identità italiana con quella spagnola.
Abbondano i frutti dello storico e ardente impasto italo-spagnolo. Da quello più famoso di Papa Francesco, uno che diceva quello che pensava in barba al mondo, a Maradona, il più forte calciatore dell’universo e allo stesso tempo uomo fragile, per anni vittima della droga. Da Astor Piazzolla, che ha dato vita nuova al tango di Carlos Gardel, a Daniel Barenboim, grande direttore d’orchestra. Da Julio Velasco, il miglior allenatore di pallavolo del pianeta, alle note modelle Belén Rodríguez e Valeria Mazza. Quasi tutti personaggi e personalità che sono o si sentono per metà italiane, comunque a casa in Italia, e non è un caso.
Argentino era anche Che Guevara, che ha incendiato il mondo e i sogni. Veniva da Rosario, la città più italiana del Paese.
Gli argentini vanno presi così, alla Milei. Essi possono essere geniali e folli, capaci di imprese uniche e allo stesso tempo autori – specie in ambito politico – delle peggiori malefatte.
“Gli argentini sono una manica di ladri, dal primo all’ultimo”, disse nel 2002 il presidente della Repubblica dell’Uruguay, Jorge Luis Batlle.
Non sapeva che il microfono dell’intervista fosse ancora acceso, e che perciò quella frase dal sen fuggita avrebbe provocato il più grave incidente diplomatico tra le nazioni sorelle, l’Argentina e l’Uruguay.
L’incauto fu costretto a volare a Buenos Aires per chiedere scusa all’incolore presidente argentino dell’epoca, ricordando d’essere lui stesso, il contrito Batlle fuorionda, figlio di mamma argentina.
Ma gli argentini ringraziarono entusiasti quell’uruguaiano che aveva testimoniato al mondo il male endemico della loro classe dirigente.
Se non si sa tutto questo, se non si conosce il paradossale aspetto della deflagrante identità argentina, che è capace allo stesso tempo di dare il meglio e il peggio di sé, si farà fatica a cogliere il perché dell’“incomprensibile” successo di Milei. Che non è un marziano: è un argentino, semplicemente.
Che quest’uomo sia o si atteggi a un po’ matto, appare chiaro. Arrivò a insultare Papa Francesco, che poi lo perdonò, abbracciandolo a Roma (a Roma, perché il Papa mai volle tornare nella sua Buenos Aires; altra stravaganza che ben s’addice ai figli d’Argentina).
Ma come tutti i matti che giocano a esserlo, Milei dice cose estremamente intelligenti. Non tutte e non sempre, è ovvio. Ma da anarco-capitalista quale si proclama, altra bizzarria, il presidente vuole smantellare il peronismo illiberale che l’ha preceduto, e che a sua volta è una contraddizione vivente: contiene tutto e il suo contrario.
Il peronismo nasce a destra con Juan Domingo Perón (1895-1973) e s’indirizza oggi a sinistra presso i coniugi Kirchner, presidenti in tempi diversi (Néstor morì nel 2010; Cristina ha una condanna a 6 anni di carcere per frode allo Stato con interdizione perpetua dai pubblici uffici).
In realtà il peronismo è un album di famiglia: tutti vi si riconoscono un po’. Evita, la moglie di Perón morta a 33 anni, è una gloria patria.
Ma a lungo obnubilati dal populismo, dagli scandali e dall’insolvenza economica, gli argentini ora s’affidano alla motosega.
Che Dio e Papa Francesco li assistano, da lassù.
Eppure, l’immensa e struggente Argentina, plasmata dal fuoco italo-spagnolo e tanto ben evocata dalla canzone “Don’t cry for me Argentina”, è un Paese di cui il mondo non può fare a meno.
Splende e allo stesso tempo si rovina per la sua inesauribile, abbagliante e folle vitalità.
(Pubblicato su Il Messaggero)
www.federicoguiglia.com







