Le due piazze di Milano e di Roma del 6 e 7 giugno, chiamiamole così anche se a Milano si tratta di un teatro e a Roma di una piazza vera e propria, sono originariamente apparse, a torto o a ragione, in competizione sulle finalità. La seconda intestatasi dal Pd, dalle 5 Stelle e dalla sinistra rossoverde per solidarizzare con i palestinesi sterminati dagli israeliani a Gaza, piuttosto che dai terroristi di Hamas nascosti con le postazioni missilistiche ed altre armi, e con gli ostaggi ebrei catturati nel pogrom del 7 ottobre 2023, sotto le case, le scuole, gli ospedali, le chiese, i mercati, le strade di una incolpevole popolazione civile trasformata in scudo umano. L’altra intestatasi da un riesumato terzo polo per solidarizzare -si era capito- con gli ucraini da più di tre anni sotto le bombe dei russi, in una guerra cominciata o annunciata come operazione speciale per “denazificare”, testualmente, un paese governato da un ebreo presuntivamente rinnegato come Zelensky.
Ebbene, chi aveva avuto questa impressione ha scoperto di essersi sbagliato perché i promotori della piazza di Milano hanno finito, volenti o nolenti, per trovarsi competitivi con la manifestazione di Roma, per quanto successiva, sullo stesso terreno. Quello di Gaza. I milanesi per accentuare la responsabilità dei terroristi palestinesi nella tragedia e deplorare l’antisemitismo, i romani per accentuare o scaricare tutta la responsabilità della tragedia sugli israeliani, più in particolare sul capo del governo Netanyahu e su chi glielo permetterebbe pur criticandolo, come anche la premier italiana Giorgia Meloni, il suo vice presidente del Consiglio forzista Antonio Tajani e in fondo pure l’altro vice presidente, leghista, Matteo Salvini. Per non parlare naturalmente degli americani di Trump, non diversi in questo da quelli di Biden.
Le due piazze ritrattesi come un elastico in una stessa guerra, quella – ripeto- di Gaza, l’una dichiaratamente contraria all’antisemitismo e l’altra silente o ambigua, potranno più facilmente contendersi lo stesso pubblico. Il Pd, per esempio, potrebbe dividersi fra Milano e Roma, anche se a Roma ci sarà la segretaria Elly Schlein e a Milano una presenza della minoranza cosiddetta riformista, battuta congressualmente a suo tempo nelle primarie aperte agli esterni, come i grillini accorsi nei gazebo per risparmiare a Giuseppe Conte la scomodità di interloquire con Stefano Bonaccini, preferito dagli iscritti al partito.
E’ proprio la promiscuità delle due piazze, ormai più gemelle che antagoniste. che tuttavia le indebolisce entrambe. Ne aumenta la confusione e le riduce all’ennesimo passaggio del congresso occulto che si sta svolgendo nel Pd, in mancanza o nella impossibilità di un congresso vero, trasparente, vincolante. E fanno entrambe un torto immeritato, direi anche orribile, agli ignorati ucraini. O un favore a Putin, che francamente non lo meriterebbe dopo quelli ricevuti da un Trump pur altalenante nei suoi umori per una pace in Europa che gli sfugge continuamente di mano, come un’anguilla.