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Corte Penale Internazionale

Vi racconto il caso della Corte penale internazionale

Il corsivo di Teo Dalavecuras

“Attraverso il proprio costante sostegno alla Cpi (la Corte Penale Internazionale, ndr) e la promozione dell’azione universale di questa, l’Europa dimostra la serietà del proprio impegno per la dissuasione dalle violazioni e la promozione di un ordine internazionale fondato su regole, la pace e la sicurezza”. Sono alcune delle proposizioni fiduciose e benintenzionate contenute nella “Lettera aperta sull’indipendenza della Corte penale internazionale” diffusa nei giorni scorsi senza troppo clamore ma firmata da ben 55 esponenti politici europei (ministri degli esteri, premier ecc., accomunati da una collocazione, diciamo così, progressista-transnazionale decisamente orientata verso la sponda occidentale dell’Oceano Atlantico. Prevalgono gli scandinavi e tra questi non sorprendentemente i danesi ma non mancano spagnoli, francesi, esponenti di quel che una volta si chiamava il Benelux e sudditi di Sua Maestà, alcuni assai noti come Chris Patten, ultimo governatore di Hong Kong. La firma, in calce alla lettera, di due ex segretari generali della Nato, Javier Solana e Willy Claes, e di un ex presidente dell’Assemblea parlamentare dell’Alleanza atlantica (Bert Koenders) non ha nulla di casuale, e nemmeno la firma di politici italiani come Emma Bonino e Massimo D’Alema, due garanzie, a diverso titolo, di pari lealtà atlantica. Si distinguono per la loro assenza di tedeschi, con l’eccezione notevole dell’ex ministro degli Esteri Sygmar Gabriel, presidente per alcuni anni del partito socialdemocratico.

Affinché non ci siano dubbi, i firmatari dichiarano di avere assistito “con viva inquietudine al provvedimento emanato negli Stati Uniti dall’ex presidente Donald Trump e alle sanzioni decretate contro il personale della Corte e i componenti delle loro famiglie” e, qualche riga più sotto aggiungono: “Salutiamo la decisione dell’amministrazione Biden di revocare le sanzioni contro la Cpi, ciò che aprirà la possibilità di lavorare al rafforzamento delle istituzioni e delle norme della giustizia  internazionale con il nostro principale alleato transatlantico”.

Questa mozione degli affetti, e in particolare la frase appena riportata, non cade dal cielo. “In questo momento siamo profondamente preoccupati dalla critica pubblica ingiustificata della Corte, compresa l’infondata accusa di antisemitismo, riguardo all’inchiesta sui crimini che si presume siano stati commessi sul territorio palestinese occupato”, sottolineano i firmatari. In effetti, la Cpi (International Criminal Court-ICC in inglese) istituita a Roma nel 1998, cui aderiscono sinora più di 120 Paesi, ha giurisdizione sovranazionale nei confronti di qualsiasi individuo responsabile di crimini contro l’umanità come i crimini di guerra, di genocidio ecc., ma si è resa particolarmente invisa negli ultimi anni agli Stati Uniti per l’intenzione di indagare su eventuali crimini ricadenti nella sua giurisdizione commessi in Afghanistan, e a Israele per ragioni analoghe relativamente alla striscia di Gaza. Il mandato dell’attuale procuratore, la signora Fatou Bensouda, scade in questo mese di giugno, altra circostanza non estranea, verosimilmente, all’iniziativa dei cinquantacinque.

I quali cinquantacinque scrivono però a un certo punto che “è necessario astenersi da qualsiasi critica pubblica delle decisioni della Cpi, critica che potrebbe contribuire a minacciare l’indipendenza della Corte e la fiducia del pubblico nella sua autorità”: una frase che avrebbe potuto far sobbalzare sulla sedia l’omonima di Emma Bonino che decenni fa, da militante radicale, aveva a cuore sicuramente la libera manifestazione delle opinioni (un po’ meno l’omonimo di Massimo D’Alema che decenni fa chiedeva 3 miliardi di lire di risarcimento a Giorgio Forattini per una vignetta che evidentemente gli era garbata assai poco).

Questi però sono dettagli. Il dato fondamentale è l’accenno al “rafforzamento delle istituzioni e delle norme della giustizia internazionale con il nostro principale alleato transatlantico”. È il dato fondamentale perché in questa struggente mozione i firmatari della lettera si dimenticano di un piccolo dettaglio: insieme a Cina, India, Russia, Israele e altri Paesi, gli Stati Uniti d’America si sono sempre rifiutati di ratificare l’atto istitutivo della Cpi, in linea con la loro costante pretesa di imporre in tutto il mondo la loro, di giurisdizione (ciò che è più che comprensibile alla luce della loro indiscussa e per il momento indiscutibile proiezione di potenza). Sicché l’idea che sull’abbrivio della revoca delle sanzioni di Trump contro Fatou Bensouda lo zio Joe possa decidere di assoggettarsi allo statuto della Cpi suonerebbe comica, se non fosse espressa in forma così contorta.

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