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Vi racconto gli ultimi grilli del Conte Maramaldo

Conte si tiene ben stretta sul capo la corona di capo dei progressisti italiani, infilatagli con generosità autolesionistica dallo stesso Pd. I Graffi di Damato.

Ma di quante guance è fatta la faccia del Pd di Elly Schlein, visti gli schiaffi – o “strappi”, secondo il Corriere della Sera e la Repubblica in comunanza insolita di titoli – che riesce a prendere da Giuseppe Conte, incassandoli senza sottrarvisi? Una faccia ben rappresentata dal presidente della regione pugliese Michele Emiliano dopo l’incontro nel quale l’ex premier gli aveva personalmente comunicato e spiegato il ritiro del suo assessore e mezzo dalla giunta, e la rinuncia ad ogni altro spuntino istituzionale per ragioni di moralità. Cioè per rivendicare quella che Enrico Berlinguer chiamava “la diversità” dei comunisti imprudentemente offertisi con la proposta del “compromesso storico” ai democristiani e poi ancora più imprudentemente accontentatisi di sostenerne dall’esterno i governi monocolori.

Più che dolersi della decisione di Conte, peraltro non determinante per la sopravvivenza in regione, Emiliano si è mostrato soddisfatto con i giornalisti, fiducioso, ottimista, grato dei “consigli” ricevuti da chi ormai lavora alla luce del sole, senza eclissi né totali né parziali, contro il partito dello stesso Emiliano, oltre che della Schlein. Del quale partito il presidente del Movimento 5 Stelle insegue “la demolizione”, secondo l’Unità di Piero Sansonetti”, o più semplicemente il sorpasso già nelle elezioni europee del 9 giugno per meglio aspirare al ritorno a Palazzo Chigi, se e quando ne uscirà Gorgia Meloni.

CONTE, CAPO DEI PROGRESSISTI

In attesa di questo improbabile avvicendamento, Conte si tiene ben stretta sul capo la corona, senza spine, di capo dei progressisti italiani infilatagli con generosità autolesionistica a suo tempo dallo stesso Pd con le mani dell’allora segretario Nicola Zingaretti e di quella specie di allevatore di cavalli della sua scuderia che era e un po’ ancora si sente, sostenendo la Schlein, l’ingombrante Goffredo Bettini. Ingombrante in tutti i sensi.

In quelle due immagini fotografiche di Conte schierato con i suoi come il presidente di una mezza corte marziale e di Emiliano che si allontana in auto dal palazzo della Regione felice come una Pasqua, c’è tutto il dramma di un Pd che lo vive come una divertente o addirittura tonificante commedia. Un partito che non entra ma esce, ristabilito, da un reparto di rianimazione, vista anche la centralità del tema dell’assistenza sanitaria avvertita dai grillini nell’inseguimento fra gli aspiranti al primato nell’alternativa coltivata nei salotti televisivi, fra le sue parabole, da un altro che si fida di Conte: l’ex segretario del Pd e mancato presidente del Consiglio Pier Luigi Bersani, trattenuto a stento nel 2013 dall’allora presidente della Repubblica e compagno di partito Giorgio Napolitano sulla strada avventurosa di un governo “di minoranza e combattimento” appeso agli umori, o risate, di un Beppe Grillo che peraltro non aveva ancora scoperto la risorsa di un Conte sottraendolo alle professioni di avvocato d’affari e docente pugliese di diritto a Firenze.

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