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Movimento

Vi racconto gioie, dolori e convulsioni di M5s fra Raggi, Tav e giornali

Tutte le novità e le convulsioni del Movimento 5 Stelle nei Graffi di Damato

L’assoluzione – per in quanto in primo grado – della sindaca grillina di Roma Virginia Raggi dall’accusa di falso ha colto così di sorpresa i vertici del suo partito, non a caso pronti a scaricarla sino ad un attimo prima applicandole in caso di condanna il loro interdittivo codice etico, da averli fatti impazzire.

“Hanno perso la testa”, ha titolato su Repubblica il direttore Mario Calabresi il suo commento alle reazioni dei vari Luigi Di Maio ed Alessandro Di Battista: tutti inviperiti non contro gli inquirenti che hanno portato a giudizio la sindaca ma contro i giornalisti che ne hanno raccontato la vicenda giudiziaria, purtroppo parte anche della sua vicenda politica e amministrativa.

I giornalisti saranno pure quegli “sciacalli”, quei “prostituti” e quegli “avvoltoi con sembianze umane” apostrofati, per ultimo, dall’ex o dal ritrovato marito della sindaca di Roma. Gli editori “impuri”, che usano o sfruttano i giornali per investire la loro influenza in altri affari ben più consistenti, saranno pure quei malviventi ai quali il vice presidente grillino del Consiglio è tornato a proporsi di tagliere unghie, mani e quant’altro con una epocale “riforma” della stampa. Ma dovrebbe pur dire qualcosa ai rivoluzionari pentastellati la vignetta che ha dedicato alla vicenda Raggi sulla prima pagina un giornale insospettabile come Il Fatto Quotidiano dell’ancora più insospettabile Marco Travaglio, appena spesosi col solito editoriale sarcastico contro i critici dell’amministrazione grillina del Campidoglio.

Riccardo Mannelli ha fatto dire ad una composta e soddisfatta sindaca Raggi appena assolta: “Visto? Io non ho fatto nulla..”. E le ha fatto rispondere “ecco, appunto” da una voce fuori campo non proprio soddisfatta, diciamo così, di quello che la signora non ha fatto per risparmiare ai romani lo stato a dir poco penoso cui è ridotta la città dopo due anni, non due settimane o due mesi, di sua amministrazione, per quanto pesante sia stata -per carità- l’eredità lasciatale dai predecessori, compreso l’ultimo: l’immaginifico Ignazio Marino.

Lo spirito, diciamo così, della vignetta di Mannelli si ritrova in fondo anche nel titolo di copertina scelto dal Fatto Quotidiano per rappresentare la situazione: “Raggi assolta e condannata a governare”. Condannata a governare significa che deve decidersi a farlo, per forza, visto che sinora non ha voluto o potuto farlo per una somma, diciamo così, di sfortunate coincidenze. Fra le quali metterei anche il fiato al collo che non ha certamente fatto mancare alla Raggi il suo movimento politico, silenzioso e forse anche compiaciuto di quei titoli degli odiatissimi giornali in cui la sindaca veniva rappresentata sotto il “commissariamento” dei suoi referenti. E non dico altro sui rapporti fra sindaca di Roma e partito appartenenza.

Vorrei dire invece qualcosa agli “sputasentenze” del movimento grillino giustamente messi alla berlina dal manifesto per l’abitudine che hanno preso di processare i giornali, e di sentirsi vittime di una loro presunta persecuzione. Vorrei dire loro, abusando un po’ della scuola di Indro Montanelli frequentata in una decina d’anni di esperienza al suo fianco al Giornale, che la testa non si perde solo quando la si ha. C’è gente, come scrisse appunto Montanelli una volta commentando con uno dei suoi fulminanti corsivi controcorrente una sfuriata dell’allora segretario della D Flaminio Piccoli in una riunione di corrente, che “riesce, diavolo, a perdere anche quello che non ha: la testa”.

Temo che i grillini, e loro estimatori, la stiano perdendo, la testa che non hanno, anche adesso facendo spallucce ai trentamila senza tessere che hanno riempito la piazza più grande e famosa di Torino per protestare contro i no dei grillini alla Tav e, più in generale, a tutte le grandi opere infrastrutturali che fanno migliorare un paese, o agli eventi che costituiscono altrettante occasioni di crescita.

Preceduti dai quarantamila scesi in piazza e per le strade, sempre di Torino, nel 1980 per liberare la Fiat dai picchettatori che la volevano bloccare inseguendo con i sindacati modelli cervellotici e demagogici di sviluppo, i trentamila torinesi di 38 anni dopo hanno mandato lo stesso segnale, insieme, di coraggio e di realismo. Li ha in qualche modo imitati a Milano il sindaco Giuseppe Sala mandando alla sua città d’origine, Avellino, come a quel posto di grillina memoria, il vice presidente del Consiglio Di Maio col progetto di imporre ai negozi la chiusura domenicale.

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