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Turchia Siria

Vi racconto come la Germania di Merkel flirta con la Turchia di Erdogan

L'approfondimento di Musso per Atlantico Quotidiano sui rapporti tra Germania e Turchia

Per intuire cosa sta accadendo fra Grecia e Turchia, occorre familiarizzarsi con tre concetti: le acque territoriali, la zona economica esclusiva, la piattaforma continentale.

1. Le “acque territoriali”, di 6 miglia ma che, su indicazione dello Stato, possono salire a 12. Nel caso che le linee di costa fra due Stati siano più vicine di 24 miglia, nel qual caso si ricorre al criterio dell’equidistanza fra le due linee di costa rispettive, salva diversa volontà delle parti.

2. La “zona economica esclusiva” (ZEE, più nota con l’acronimo inglese EEZ – exclusive economic zone): un’area del mare, adiacente le acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle “risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo”. Così disposta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, meglio nota come UNCLOS o Convenzione di Montego Bay. Una EEZ si estende fino a 200 miglia marittime dalla linea di costa dalla quale vengono misurate le acque territoriali. Salvo il caso che le linee di costa fra due Stati siano più vicine di 400 miglia, nel qual caso si ricorre, di nuovo, al criterio dell’equidistanza.

Quanto alle isole, la convenzione è estremamente precisa: “il mare territoriale, la zona contigua, la zona economica esclusiva e la piattaforma continentale di un’isola vengono determinate conformemente alle disposizioni della presente Convenzione relative ad altri territori terrestri”; con l’unica eccezione de “gli scogli che non si presentano all’insediamento umano né hanno una vita economica autonoma”.

Capita che la Grecia abbia un territorio per un quinto formato da 6.000 isole, delle quali 227 abitate, nonché circa 200 abbastanza ben distribuite fra Creta (a sud) e la costa della Tracia (a nord): talché, a norma della convenzione, può pretendere una EEZ sostanzialmente corrispondente all’intero Mar Egeo. Oltreché, naturalmente, le isole Ionie, fra Puglia ed Albania, che comandano una EEZ poco oltre la metà del Mar Ionio, pacificamente riconosciuta dall’Italia con un recente accordo.

Particolare il caso del piccolo arcipelago di Castelrosso (regolarmente abitato come sa chiunque abbia visto il famoso film Mediterraneo, premio Oscar appena alcuni anni or sono), a est di fronte alle coste turche della Licia, che potrebbe comandare una EEZ verso l’Egitto sino a poco oltre la metà del Mar di Levante. Salvo che, almeno due precedenti decisioni della Corte Internazionale di Giustizia hanno stabilito una “ragionevole relazione, fra le EEZ appartenenti a ciascun Stato e la lunghezza delle sue coste (criterio di proporzionalità)”, ferma sempre la riserva delle 12 miglia di acque territoriali. Sicché, la Turchia potrebbe forse avere argomento per chiedere alla Corte di negare la pretesa greca in questa parte del Mar di Levante. Non casualmente tale area non è stata inclusa in un recente accordo fra Grecia ed Egitto, che pure ha delimitato il tratto di quel mare di fronte a Creta e Rodi.

Ancora più particolare il caso della cosiddetta ‘Repubblica Turca di Cipro del Nord’, ovvero quella parte della Repubblica di Cipro che la Turchia ha militarmente invaso nel 1974, cacciandone tutti i greci. Stato fantoccio, non riconosciuto da alcuno stato al mondo, tranne naturalmente dalla Turchia. Lo stesso, a suo titolo Ankara pretende la gran parte della EEZ cipriota: nel 2018 ha persino inviato navi militari a sequestrare una nave perforatrice italiana, la Saipem 12000, senza che il governo del debolissimo Gentiloni osasse reagire. Resta, però, che quello stato è uno stato fantoccio e, perciò stesso, non titolato ad alcun diritto marittimo che sia uno.

3. La “piattaforma continentale”, dove uno Stato ha esclusivo diritto di sfruttare le “risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo”, eventualmente concorrenti coi diritti sulla colonna d’acqua sovrastante e regolati dal regime delle EEZ. Tale terzo concetto migliora la situazione dei turchi, in quanto parecchie isole greche (ad esempio, Lemno, Agiostrati, Lesbo, addirittura Schiro), oltre a Castelrosso, potrebbero giacere sulla piattaforma continentale anatolica.

Atene naturalmente obbietta, e la convenzione prevede, pure qui, un arbitrato della Corte Internazionale di Giustizia. Ciò che potrebbe convenire alla Turchia, in quanto almeno una precedente decisione, riguardo le Isole del Canale britanniche, addirittura negò loro di comandare una qualsiasi EEZ, in base alla loro collocazione sulla piattaforma continentale francese, limitando il loro spazio alle sole 12 miglia di acque territoriali.

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Eppure, la Turchia non solo non ricorre alla Corte Internazionale, ma neppure ha sottoscritto la convenzione di Montego Bay. Perché? Beh perché tanto quella convenzione, quanto le citate precedenti decisioni della Corte, fissano univocamente il diritto della Grecia ad estendere le proprie acque territoriali sino a 12 miglia marittime.

Capita che la distribuzione delle isole greche nell’Egeo sia tale che, con la estensione delle acque territoriali greche alle 12 miglia, gli spazi di navigazione turchi si ridurrebbero enormemente. Il che non sarebbe un problema per le navi civili, ma lo sarebbe certamente per le navi militari: i sottomarini vi devono navigare in superficie, ad esempio. Il che è rifiutato dalla Turchia al punto che, nel 1995, il Parlamento turco dichiarò che una eventuale estensione, da parte della Grecia, equivarrebbe ad un casus belli. Come Ankara ripete continuamente, sabato il primo vicepresidente turco Fuat Oktay.

La Turchia, in effetti, quando parla dei propri “diritti”, intende quelli derivanti da una legge tutta propria: che assegna a se stessa una interpretazione assai generosa della non sottoscritta convenzione, pur negando ad Atene i suoi diritti certamente derivanti dalla convenzione e relativi alle acque territoriali. Tale legge tutta propria di Ankara ha pure un nome: “Mavi Vatan”, la Patria Blu. Che Ankara pretende essere basata “sul diritto internazionale, sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia Internazionale”, esattamente nel momento in cui tale diritto internazionale essa si rifiuta di sottoscrivere, tale Corte si rifiuta di adire.

 

Gli alleati occidentali della Grecia sono plausibilmente consci delle conseguenze incendiarie che una manifesta violazione della convenzione di Montego Bay avrebbe nel resto dei mari; inoltre, essi possono interpretare l’aggressione turca come non unicamente rivolta a Grecia e Cipro, dal momento che Ankara proclama di volere molte basi militari negli “approdi all’Oceano Atlantico dalla parte del Mediterraneo occidentale”: la prima a Misurata di Libia, una ne immagina persino in Albania. Quanto ai francesi, Macron esplicitamente dice che “i turchi considerano e rispettano non le parole ma solo le azioni” ed ha inviato mezzi navali ed aerei ad appoggiare Grecia e Cipro, tirandosi dietro pure Emirati Arabi Uniti ed Italia; ed il 10 settembre pare firmerà con Atene un accordo per la fornitura di 10 miliardi di euro in 18 caccia Raphale, nuove fregate e l’ammodernamento di fregate vecchie, siluri, munizioni ed altri sistemi d’armamento. Quanto agli americani, essi paiono prepararsi al rischio che Ankara dia seguito alla minaccia dell’ammiraglio di uscire dalla Nato, per diventare un nuovo Pakistan o chissà: appena Erdogan ha acquistato i sistemi antiaerei russi SS-400, Washington ha non solo cancellato un vecchio embargo sulle armi per Cipro ed annullato la vendita di 100 F-35 alla Turchia, ma pure ne ha destinati 24 alla Grecia rendendola in prospettiva capace di battere militarmente i turchi, certamente e da sola.

Azioni, queste, che contrastano con la partigianeria filo-turca della Germania, che porta con sé la manifesta inanità della Ue e del segretario generale della Nato Stoltenberg. Ma di questo parleremo in un terzo articolo.

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Gli alleati occidentali della Grecia hanno una ulteriore ragione per non lasciar scendere i turchi nel Mediterraneo: le risorse gasiere. Dieci anni fa, Israele ha scovato il giacimento Leviathan, seguito dalla nostra Eni che ha scovato Zohr eppoi Noor, entrambi in acque egiziane, poi ancora da americani, francesi e sempre Eni che hanno scovato Aphrodite e Glaucus e Calypso, in acque cipriote. Per ora, il gas estratto serve ai bisogni regionali ma, se ce ne fosse di più, non è escluso esso possa giungere in quantità in Europa. Per ora, con le navi gasiere, a salpare dai due impianti di liquefazione egiziani di Idku e Damietta. Assetto destinato a durare, sinché il prezzo del gas resterà così basso come è a causa della crisi del Covid.

Ma bisogna pure guardare al futuro: gli Stati interessati hanno costituito un “East Mediterranean Gas Forum”, che include l’Italia, ed hanno pianificato un lungo gasdotto, detto EastMed, che attraverso Cipro dovrebbe raggiungere la Grecia e, di lì, l’Italia, proprio attraverso le famose acque sotto l’isola di Castelrosso che, lo abbiamo visto, tanto fanno gola ai turchi. Perché pure esse nascondono giacimenti gasieri, forse, ma soprattutto per ostacolare la costruzione di quel gasdotto: se mai Erdogan dovesse mettere le mani su quel tratto di mare, l’intera operazione andrebbe a monte. L’opera appare economicamente poco attraente, per il lungo tracciato e la profondità dei fondali e, da un punto di vista strettamente economico, sarebbe più conveniente utilizzare il “Gasdotto Trans-Anatolico (TANAP)”, che corre su un tracciato in parte congruente ma su suolo turco e che la Turchia non sarebbe capace di riempire se non col gas di Cipro ed Egitto. Tuttavia, ciò significherebbe mettere tali risorse alla mercé di uno Stato dai comportamenti pirateschi (come la vicenda della Saipem 12000 ha mostrato pure ai ciechi) e politicamente ostile, oltre che naturalmente a Grecia e Cipro, per motivi diversi pure ad Israele ed all’Egitto. Senza contare che la Turchia ha altri progetti, come ha ribadito in occasione del recente annuncio della scoperta di un giacimento nella sua EEZ non contestata nel Mar Nero: l’autosufficienza energetica, ufficialmente onde ridurre il cronico deficit della propria bilancia commerciale, realisticamente onde perseguire il sogno della indipendenza strategica; ed è asseritamente a tal fine che essa persegue la propria espansione nelle acque greche e cipriote nel Mediterraneo. Insomma, il gasdotto avrebbe un valore economico proprio, in quanto permetterebbe di non dover vendere esclusivamente alla Turchia.

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La posizione del governo italiano è, però, sfumata. Certo, siamo tenuti a difendere due Paesi Nato e Ue, Grecia e Cipro, da una aggressione militare; ma questo vale pure per gli Stati Uniti e tanto potrebbe bastare, in caso di conflitto. Mentre, nella presente fase di avvicinamento ad un eventuale conflitto, trova spazio ogni apparente ambiguità.

Così un recente studio di Michaël Tanchum si è spinto a descrivere “una simbiosi geopolitica fra Italia e Turchia”, “un nuovo allineamento geopolitico del Mediterraneo guidato da Italia e Turchia” a sigillo di una “autonomia strategica” italiana nel Mediterraneo. Egli conosce ma deliberatamente sceglie di ignorare il grave incidente della Saipem 12000, gli stretti legami con l’Egitto, la penetrazione commerciale già forte in Algeria e Tunisia; mentre semplicemente ignora il sostegno italiano al gasdotto EastMed, nonché il sostanziale via libera dato da Roma ad Haftar, allorché rifiutò di armare la difesa di Tripoli. E concentra la propria attenzione sulla concessione del porto di Taranto all’operatore turco Yilport, che ha attirato la compagnia di navigazione da essa partecipata CMA CGM, senza nemmeno segnalare come quest’ultima sia basata a Marsiglia.

Dubitiamo che Tanchum sarebbe giunto alle proprie ardite conclusioni, se non avesse ignorato gli elementi suddetti. Ai quali possiamo aggiungere altri: la Marina Militare Italiana tutto può desiderare, meno che lasciar crescere quella turca in potenza navale, tanto più in mano ad un incendiario come Erdogan e tanto più alla luce del proclamato desiderio di quest’ultimo di farsi basi militari sino in Albania. Al governo è il Pd, i cui stretti rapporti con Parigi ben gli hanno meritato l’appellativo di “partito francese”; la destra di opposizione è “americana”; certo, il 5 Stelle è un “partito cinese” e potrebbe forse potenzialmente baloccarsi con simili scenari, ma il suo ministro degli esteri ha sottoscritto il citato accordo con la Grecia di delimitazione delle rispettive EEZ nel Mar Ionio a partire, non dalla costa, bensì dalle Isole Ionie: una mossa decisamente filo-greca, se letta nel contesto delle pretese turche nell’Egeo, nonché straordinaria, vista la tradizionale riluttanza di Roma a fissare la propria EEZ; il che sarebbe tanto più chiaro se fosse vero che la mossa italiana è una reazione all’accordo bilaterale di delimitazione delle rispettive EEZ siglato da Ankara e Tripoli (oltreché ad un parallelo ma solitario tentativo algerino). Parimenti, il governo albanese, normalmente non lontanissimo dalle posizioni italiane, sta lavorando con Atene ad un simile accordo di delimitazione con la Grecia e già si è detto favorevole alla avvenuta estensione delle acque territoriali alle 12 miglia nello Ionio. Infine, il governo di cui quel ministro degli esteri fa parte, ha inviato una nave a partecipare alle manovre militari con Grecia e Cipro organizzate dalla Francia.

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Insomma, un governo turco con i piedi per terra, sottoscriverebbe immantinente la convenzione di Montego Bay e cercherebbe di farla valere per quanto di proprio interesse. Erdogan, che i piedi per terra non ha, pretende di imporre un diritto tutto suo per farsi potenza energetica indipendente. Nel far ciò, è isolato nel Mediterraneo orientale e pare non disponga di altre sponde in occidente, nemmeno in Italia. Tranne che in Germania, come vedremo nel prossimo articolo.

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Berlino ha oggettivamente rinunciato al proprio preteso ruolo di difensore del diritto internazionale.

Infinite sono le volte che Merkel si è esibita da gran difensora del diritto internazionale, a mero titolo di esempio: dopo l’annessione russa della Crimea (“sanzioniamo la Russia per la difesa della legge internazionale”), accettando il Premio Fulbright (“la legge internazionale è messa in questione, è nostro dovere opporci”), criticando le colonie israeliane in Cisgiordania (“sono una violazione della legge internazionale”), contestando le sanzioni americane su Nord Stream 2 (“sono in violazione del diritto internazionale”) ed infinite altre volte. Ma è specialmente nei suoi costanti attacchi a Trump che la cancelliera si è esposta, una volta gli tenne una lezione sulla Convenzione dei Rifugiati ed i di lei aedi recitano “Merkel rappresenta tutto ciò che Trump detesta: globalismo, multilateralismo, diritto internazionale”. Particolarmente entusiasta Marta Dassù:

“La Germania è una nuova potenza basata sul commercio e multilateralista, per la quale il diritto internazionale e le istituzioni internazionali sono di fondamentale importanza”.

E invece no. Per la Germania il diritto internazionale non è di fondamentale importanza, anzi: tant’è che Maas è pronto a gettarlo via alla prima occasione. È una sorpresa? Non tanto, per chi abbia un minimo di memoria e ricordi che la Germania riunificata fu il primo Paese al mondo (col Vaticano) a riconoscere l’indipendenza di Slovenia e Croazia. Quindi, il ruolo di difensore del diritto internazionale che Berlino pretende per sé è propaganda? Sì. Quindi, la Germania riunificata è una potenza revisionista? Sì.

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Invitando Atene a commettere l’errore di privarsi della protezione della legge internazionale, Berlino ha assunto una posizione oggettivamente filo-turca.

D’altronde, Maas ha lasciato intendere di voler assumere la posizione dell’“onesto sensale”, ossia della terza parte indifferente all’esito del negoziato. Ma questo ruolo può essere quello della Svizzera (la quale, infatti, si è offerta), non quello di uno Stato due volte impegnato a difendere la Grecia ed una volta impegnato a difendere Cipro da una aggressione militare. Al contrario, la Germania non è parte terza, essendo in corso una aggressione militare ed alla luce degli impegni militari di solidarietà della Germania, in sede Nato e Ue, verso l’alleato aggredito. Impegni che Berlino, evidentemente, considera di non voler rispettare.

Scelta sottolineata dalle parole del ministro della difesa tedesco, che ha definito l’esercitazione militare a guida francese come “non di aiuto”, nonché della stessa Merkel: “Possiamo sostenere i nostri partner europei e inviare lì delle navi, ma ci impegniamo anche a riprendere il dialogo tra Grecia e Turchia”… peccato che le navi siano francesi.

Scelta ulteriormente sottolineata da quanto accaduto al tavolo del Consiglio dei ministri degli esteri Ue, sotto presidenza tedesca, la quale, pur di fronte a vive resistenze, ha ottenuto di avviare sanzioni alla Bielorussia mentre rinviava la decisione su sanzioni alla Turchia ad una successiva riunione il 24 settembre e chissà poi a quando. Eventuali sanzioni che sarebbero comunque molto leggere, nonostante il commercio con la Ue sia veramente importante per l’economia turca, tant’è che i turchi, i quali già al primo annuncio di metà agosto avevano fatto uscire la flotta, di fronte al nuovo rinvio le hanno fatto fare manovre di fuoco. A Berlino molti paiono convinti che il problema della stabilità del Mediterraneo sia la Francia, Macron vuole convincerli sia la Turchia, a noi pare piuttosto sia la Germania.

Insomma, la Germania riunificata è una potenza revisionista pure del Trattato Nato e delle clausole di difesa comune del Trattato Ue.

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La circostanza che la Germania riunificata sia una potenza revisionista, promette conseguenze interessanti nel momento in cui essa, come ci informa Lucio Caracciolo, “sta pensando l’impensabile: affermarsi ago della bilancia degli equilibri euro-mediterranei”.

Egli vede il revisionismo tedesco verso il trattato Nato, richiamando un celebre discorso di Merkel in una birreria di Monaco (!), quando ella scandì: “noi Europei dobbiamo prendere in mano il nostro destino”; laddove per ‘Europei’ occorre intendere ‘Tedeschi’, come la presente crisi greco-turca rende chiaro pure ai ciechi. Aggiunse: “dobbiamo lottare da soli per il nostro futuro”, il che parve subito strano, considerato il miserabile stato delle forze armate tedesche; ma non è affatto detto che, per ‘lottare’, la cancelliera intendesse riferirsi alla sfida militare.

Caracciolo vede pure tre ostacoli alla emancipazione tedesca: lo stigma hitleriano, l’antimilitarismo tedesco, l’impotenza militare. Ma questi non sarebbero ostacoli, se ciò che Merkel desidera fosse una Germania neutralizzata e demilitarizzata, una ‘Grande Svizzera’ che non minaccia militarmente nessuno e tutto può richiamare meno lo stigma hitleriano. Era il sogno della Germania non occidentale, che l’ex segretaria della Sezione Agitprop della Gioventù Comunista della DDR alla Accademia delle Scienze di Berlino Est può finalmente portare a compimento.

Quanto al rischio di minacce militari dirette, esso non esiste, essendo la Germania circondata da un ampio cuscinetto di Stati non ostili. Quanto al gas EastMed, Berlino ha già scelto di rendersi dipendente dal gas russo. Quanto al rischio di nuova invasione di migranti, come nel 2015, stavolta gli eventi del febbraio 2020 hanno dimostrato che la Grecia è determinata a tenerli fuori; e se pure crollasse la Grecia ci penserebbe l’Ungheria ed altri stati cuscinetto lungo la strada. Dunque, Berlino non vede vantaggio a mettere in pericolo i propri ricchi rapporti commerciali con la Turchia: per i greci, non vuol spendere un aereo, una nave, una sanzione.

Insomma, la Germania non è un alleato della Grecia.

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Resta da commentare la manifesta inanità delle organizzazioni internazionali.

La Ue, bloccata dalla posizione filo-turca di Berlino, oltre a non sanzionare la Turchia, tollera che essa occupi parte del territorio di un proprio stato membro, la Repubblica di Cipro, e pretenda di tenervi fuori truppe occidentali in base ad accordi che essa stessa ha violato con l’invasione.

Quanto alla Nato, il segretario generale Stoltenberg non è stato capace di dar segni di vita nemmeno quando navi turche hanno puntato una nave francese impegnata in una missione Ue fuori dalla Libia, a giugno; ha saputo solo “esplorare” la possibilità di osservare più da vicino la situazione; e si è spinto ad appoggiare esplicitamente la posizione tedesca, addirittura. Il che pare solo la logica conseguenza del non essere la Germania un alleato della Grecia. Perché, invero: cosa ci stanno a fare, due Stati non alleati, nella stessa alleanza?

Ma non solo. Potremmo pure chiederci: cosa ci stiano a fare, due Stati non alleati, nella stessa moneta? Beh, niente. I greci si sono tanto sacrificati per l’euro, nella convinzione che gli europei avrebbe difeso un Paese dell’euro dal turco, ma Berlino dimostra che era una convinzione sciocca. Anzi, le regole dell’euro hanno impedito ai greci di farsi delle forze armate più forti. Tanto vale prenderne atto.

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È giunto il momento di tirare la somma dei nostri articoli. Un governo turco con i piedi per terra sottoscriverebbe immantinente la convenzione Onu e cercherebbe di farla valere per quanto di proprio interesse. Erdogan, che i piedi per terra non ha, pretende di imporre un diritto tutto suo per farsi potenza energetica indipendente. Nel far ciò, è isolato nel Mediterraneo orientale e pare non disponga di altre sponde in Occidente, nemmeno in Italia. Tranne che in Germania, la quale, rinunciando al preteso ruolo di difensore del diritto internazionale, ha mostrato di essere una potenza revisionista e, assumendo una posizione oggettivamente filo-turca, ha mostrato di essere una potenza revisionista pure del Trattato Nato e delle clausole di difesa comune del Trattato Ue; con l’obiettivo di divenire una “Grande Svizzera”, neutralizzata e demilitarizzata.

(Estratto di una serie di tre articoli pubblicati su Atlantico Quotidiano)

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