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Governo Gialloverde

Vi racconto come il governo M5s-Lega slalomeggia tra sfortune, ottimismi e decrescite infelici

I Graffi di Damato

Grillini e leghisti, in ordine sia alfabetico che di consistenza parlamentare, sono stati sicuramente fortunati nelle urne elettorali del 4 marzo scorso: gli uni diventando il movimento di maggioranza relativa nel Paese, gli altri sorpassando i forzisti nella coalizione di centrodestra ed entrambi facendo poi un governo quasi obbligato dalle circostanze. Che permisero a Matteo Salvini di chiedere e ottenere da Silvio Berlusconi il permesso di “tradirlo” a livello nazionale, ferme restando le alleanze locali, per giunta a tempo indeterminato, sino a quando altre circostanze non avessero riaperto i giochi a Roma.

PERCHE’ LA MAGGIORANZA E’ SFORTUNATA

Altrettanto sicuramente però grillini e leghisti sono stati quanto meno sfortunati – se si vuole generosamente assolverli dai loro errori – nell’impatto con gli sviluppi negativi della situazione economica: in tutta Europa, ma più in particolare in Italia, dove due mesi e mezzo di “guerra di parole” con l’Unione Europea – inutilmente lamentata dal presidente italiano della Banca Centrale Europea, Mario Draghi – hanno prodotto quanto meno una febbre cronica dello spread, tradottasi in un aggravio dei costi del nostro già ingente debito pubblico.

L’OTTIMISMO ESAGERATO

Dannatamente sfortunata è stata anche la coincidenza fra la partecipazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del vice presidente grillino Luigi Di Maio – prima l’uno e poi l’altro – ad un convegno di consulenti del lavoro ambiziosamente proiettato “verso il futuro”, con tanto di bandiere e di striscione ottimistico steso alle spalle degli oratori, e l’impietoso annuncio ufficiale del calo della produzione industriale italiana del 2,6 per cento in un anno, tra novembre 2017 e novembre 2018, con un picco peraltro del 10 per cento nel settore dell’auto. Che è lo stesso disgraziatamente colpito nella manovra fiscale di fine anno dai grillini, fra le deboli resistenze dei leghisti, con una sovrattassa studiata per agevolare il futuro – si potrebbe dire – della motorizzazione elettrica, ma destinata intanto a colpire il presente e più diffuso commercio della motorizzazione a benzina o nafta.

IL NODO DEL CONTRATTO DI GOVERNO

Impossibilitati a sottrarsi alla realtà col solito argomento della questione non contemplata nel famoso “contratto” di governo, e non potendo chiaramente bastare la protesta contro l’altrettanto solita eredità ricevuta dai governi passati perché il tempo passa, appunto, e permette sempre meno a chi è oggi al timone della barca di dire che sta ancora subendo i danni della rotta precedente, Conte e Di Maio sono ricorsi all’ottimismo, diciamo così, di ufficio. Come d’altronde fecero in analoghe circostanze i loro tanto bistrattati predecessori: primo fra tutti l’odiato Cavaliere di Arcore.

LA RECESSIONE IN ARRIVO

In particolare, il presidente del Consiglio ha rivelato che proprio nella consapevolezza di una sostanziale recessione in arrivo il suo governo ha varato una manovra di cosiddetta “espansione”. Della quale però si vedono francamente sempre di più le maggiori spese correnti, cresciute ora col cosiddetto reddito di cittadinanza e gli anticipi pensionistici, che gli investimenti necessari allo sviluppo: quelli per esempio nelle infrastrutture, cui i grillini hanno un approccio a dir poco diffidente, preferendo la cosiddetta “decrescita felice” ai rischi corruttivi e dilapidatori delle grandi opere pubbliche. E ciò a cominciare naturalmente dalla Tav, o dal genere maschile preferito da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano.

I TRAVAGLI DI DI MAIO

Il vice presidente del Consiglio Di Maio, già inquieto di suo ma ora incalzato più da vicino dal concorrente e amico Alessandro Di Battista, che contende ad una certa, vecchia e non proprio fortunata sinistra la pratica di essere allo stesso tempo “di lotta e di governo”, come lo stesso “Dibba” ha appena ripetuto al canale televisivo 9, si è spinto a immaginare a breve addirittura un nuovo “miracolo economico” tipo anni Sessanta, quando le autostrade, con viadotti annessi e connessi, diedero una forte spinta allo sviluppo del Paese. Le autostrade di Di Maio però avrebbero meno rischi e costi. E quali potrebbero essere? Ma è chiaro: quelle “digitali”, ha chiarito il volatile “Giggino”, come lo ha sfottuto il manifesto in prima pagina commentandone la sortita.

Sulle autostrade digitali dell’ancòra capo del movimento grillino viaggia notoriamente, sulle orme del padre, Davide Casaleggio: un redivivo Jean-Jacques Rousseau. Che prima o dopo dovrà soddisfare però la curiosità di Altan di conoscere e rivelare su Repubblica il rapporto fra costi e benefici del governo in carica, e non solo della o del Tav.

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