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Di Maio Salvini

Vi racconto come e perché M5S e Lega si sono detti addio. Il post di Sacchi

Il post di Paola Sacchi, già inviata di politica a L'Unità e a Panorama

 

Probabilmente il finale tra Lega e Cinque Stelle era già scritto fin dall’inizio. Che l’opzione giallo-rossa, nonostante il decollo del governo giallo-verde, restasse sempre in agguato, perché ritenuta migliore da buona parte del Pd (ma allora stoppata da Renzi) e da potenti settori dell’establishment era cosa che si respirava nell’aria del Palazzo quasi fin dall’inizio.

Facile, si dirà, rivedere le cose con il senno di poi. Ma quando Salvini dice che “il ribaltone all’italiana era in atto da tempo” e che se lui tornasse indietro rifarebbe tutto, al di là dei giudizi sulle sue mosse politiche, riscorrono davanti immagini ed episodi premonitori di un finale già scritto. Che rende ormai forse un po’ stucchevole la discussione sui tempi della crisi, e cioè se fosse stato meglio per la Lega staccare la spina subito dopo il successo delle Europee, anziché a Ferragosto. O magari ancora prima.

Forse, il finale di partita del “contratto” giallo-verde avrebbe sortito lo stesso risultato e magari con meno inciampi, visti i tempi della legge di Bilancio, per Pd e grillini. È stato scritto decine di volte, come un ritornello, sui grandi giornali che Salvini avrebbe dovuto dare ascolto a Giorgetti, suo numero due, che gli avrebbe consigliato la crisi dopo le Europee.

Ma una scena in una sera del dicembre scorso al Quirinale, durante il ricevimento dopo la cerimonia degli auguri natalizi alle alte cariche dello Stato, testimoniò agli occhi della cronista, anche sul piano plastico, la netta distanza tra leghisti e pentastellati. Tutti attorno al premier Giuseppe Conte, omaggiatissimo, per aver evitato la procedura d’infrazione dell’Europa, tranne che dai leghisti e clamorosamente da Berlusconi con quella celebre scena in cui ostentatamente non lo salutò.

Forse già quella sera il Cav aveva capito che era nata un’altra stella a capo dei 5 Stelle e davvero molto più insidiosa di Di Maio, insomma la sesta stella che sarebbe stata l’apripista decisivo per il governo grillini-Pd. Decisivo anche perché così omaggiato e benvoluto da prestigiosi rappresentanti degli apparati dello Stato presenti nel Salone degli specchi.

Una sesta stella che probabilmente avrebbe mandato per sempre a farsi benedire l’ipotesi che Berlusconi probabilmente già aveva in testa (l’avrebbe annunciata un mese dopo) di un governo di centrodestra con “responsabili” da formare in parlamento. Il vento già da allora però spirava in tutt’altra direzione. E non solo perché Salvini disse che il ritorno alle vecchie formule non gli interessava.

Probabilmente, anche perché, al di là del suo disegno egemonico sulla storica coalizione, come spiegarono gli stessi leghisti alla cronista era convinto che quella richiesta non sarebbe mai passata. Infatti.

Significativa, dunque, la scena di quella sera nel Salone degli specchi. Conte al centro di tutto, leghisti in fondo da una parte. Salvini non c’era, la delegazione era guidata da Giorgetti. Che a un certo punto tra un dolce e l’altro del ricevimento si sfogò un po’ padanamente, volgendo lo sguardo sul premier intanto omaggiato anche da esponenti Pd, così: “Ho ricevuto proposte di contratti di consulenza da grandi società internazionali, potrei guadagnare sei-otto volte di più… Ho detto di no. Finché non mi rompo i c….”.

Scuro in volto, solo dopo un po’ aggiunse, per ammorbidire, un sorriso. Ma in quel “ho detto di no” non c’era solo la disciplina di partito di uno che anni fa nella Lega Nord definì il suo modello quello del “militante ignoto”, c’era la convinzione da realpolitik che bisognasse andare ancora avanti, con un governo della cui nascita lui stesso accanto a Salvini fu determinante. Che non avrebbe alla fine vinto nessuno, ma che comunque la Lega avrebbe avuto solo da guadagnare con i collegi del Rosatellum, il sottosegretario uscente alla Presidenza del Consiglio, detto il Richelieu padano, lo aveva già ben chiaro da prima delle elezioni del marzo 2018.

Vincerà il centrodestra? Rispose alla domanda con un gesto molto chiaro sulla difficoltà per la coalizione di raggiungere le percentuali previste dalla legge. Al punto che venne ai cronisti il sospetto che ci fosse già un accordo con i 5 Stelle. Ma Giorgetti precisò di aver solo fotografato uno scenario possibile.

Comunque è un fatto che la Lega il primo colpo lo prese proprio nel momento in cui allo stesso Giorgetti fu impedito quel ruolo di “controllore” di Conte per il quale la Lega lo aveva mandato a Palazzo Chigi. Non ebbe neppure la delega per i Servizi segreti, che invece ebbero prima di lui altri sottosegretari plenipotenziari come Gianni Letta e diversi anni prima Marco Minniti, con il governo D’Alema.

L’ultimo spettro dei leghisti, quello che probabilmente è stato la molla finale per staccare la spina sono state le manovre che avvenivano ormai sotto i loro occhi per cambiare la legge elettorale, togliendo i collegi e andando interamente al proporzionale. E questo soprattutto nella consapevolezza che “tanto faranno di tutto per non far eleggere a una maggioranza di centrodestra il nuovo capo dello Stato” e nella quasi certezza che le elezioni anticipate difficilmente ci sarebbero state. Che cosa poi sia nel dettaglio accaduto a Ferragosto probabilmente ci vorrà del tempo per scoprirlo.

Una cosa è certa: La Lega nelle elezioni successive alle Politiche del 4 marzo aveva vinto nel Paese ma non nel “Palazzo”.

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