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Elezioni Canada

Vi racconto come è andata la campagna elettorale in Canada

L’approfondimento di Gian Marco Litrico sulle elezioni federali in Canada del 21 ottobre

A quattro giorni dal voto del 21 ottobre, il liberale Justin Trudeau, primo ministro uscente, ed Andrew Scheer, il leader del partito conservatore, separati da 2 punti percentuali, sono ancora avvinghiati in un durissimo corpo a corpo. Tra i due c’è un distacco troppo esiguo che proietta un alone di incertezza che nemmeno i dibattiti televisivi sono riusciti a diradare.

Per i sondaggisti di 338 Canada i Liberali dovrebbero aggiudicarsi 162 seggi, contro i 130 dei Conservatori, mentre per Forum Research le proiezioni sono ribaltate. In ogni caso, visto che per formare una governo di maggioranza servono 170 seggi sui 338 disponibili alla House of Commons, l’ipotesi più accreditata è che si arrivi ad un governo di minoranza, che in Canada è statisticamente un governo a tempo, che vive in media un paio d’anni e viene mandato a casa da un voto di non fiducia per andare a nuove elezioni.

Sconosciuto al grande pubblico, definito da molti – soprattutto tra i Liberali – come l’Harper con il sorriso (un riferimento diretto al predecessore leader dei Conservatori, l’algido Stephen Harper, battuto da Trudeau nel 2015), Scheer si oppone alla carbon tax, ha promesso il pugno duro contro il crimine e si è impegnato a riportare in pareggio il bilancio federale entro i primi 5 anni di governo, nel remake di un classico come l’Armageddon del partito della Spesa contro il partito dell’Austerità.

In materia sanitaria si è detto contrario al National Pharmacare proposto dai Liberali, sostenendo che il 95% dei canadesi ha già un programma privato che fornisce i farmaci. Una fake news, per il popolo di Twitter, smentita anche da Statistics Canada, secondo cui un canadese su 5 ha difficoltà a pagarsi le medicine. I Liberali lo hanno attaccato su un nervo scoperto, andando a pescare un suo vecchio discorso sul matrimonio gay in cui non nascondeva una visione francamente omofoba. I diritti civili in Canada sono importanti catalizzatori di voti, in un Paese che è arrivato tra i primi al mondo a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso e a legalizzare l’uso ricreativo della cannabis e il suicidio assistito, oltre ad avere una delle leggi forse più “permissive” in materia di aborto. Anche Scheer ha avuto la sua dose di scheletri nell’armadio, inclusi il rifiuto di alzarsi in piedi durante l’esecuzione della nuova versione “gender neutral” dell’inno canadese e il fatto di non aver ammesso di avere la doppia cittadinanza americana e canadese, elemento che non preclude l’eleggibilità, ma che non si può nascondere al pubblico col pretesto “che nessuno glielo aveva chiesto”.

Chi ha invece condotto una campagna elettorale in rimonta, a dispetto delle casse semivuote del partito e della fuga verso i Verdi di diversi eletti della passata legislatura, è Jagmeet Singh, il leader dell’NDP (New Democratic Party), la formazione di ispirazione socialdemocratica. Con i suoi turbanti colorati, Singh, un avvocato di origine sikh dall’impeccabile look british, è un manifesto vivente del multiculturalismo canadese. Ha proposto una tassa dell’1% sulle ricchezze superiori a 20 milioni di dollari, con un gettito decennale di 70 miliardi di dollari, da usare per finanziare non solo il Pharmacare, ma anche le cure dentarie universali, e ha puntato molto sul tema della casa come elemento distintivo delle sue politiche in un Paese in cui la bolla immobiliare nelle grandi città rischia di scoppiare da un momento all’altro.

È uscito vincitore nei dibattiti televisivi, nonostante Trudeau lo abbia attaccato per non aver preso una posizione netta sulla legge sul secolarismo, approvata in Quebec, che vieta ai dipendenti pubblici di indossare simboli religiosi. “Combatto contro il razzismo da quando sono nato. Sono un uomo col turbante e la barba ed è chiaro come la penso, ma non voglio essere divisivo per il Paese e per questo non voglio intervenire”, ha detto il leader dell’NDP, usando toni moderati che gli hanno permesso di raddoppiare il vantaggio di 4 punti percentuali che aveva sui Verdi all’inizio della campagna. Difficilmente potrà occupare la poltrona di primo ministro, ma dovrebbe garantirsi un ruolo da kingmaker, nell’ipotesi probabile di una vittoria di stretta misura di uno dei due partiti principali. Pur di non mandare al governo i Conservatori, ha dichiarato la sua disponibilitàad un governo di coalizione con i Liberali, una formula che non appartiene alla tradizione canadese (è accaduto solo una volta, durante la prima guerra mondiale).

I Green di Elizabeth May scommettono su un piano in 20 punti per innescare la transizione completa del Canada verso l’economia verde entro il 2030, a partire dal raddoppio del taglio delle emissioni cui Trudeau si è impegnato a Parigi. Una“Mission: Possibile”, come l’hanno definita, in cui trovano spazio case riscaldate con le rinnovabili, nuovi veicoli privati e pubblici solo elettrici, inclusi i traghetti, risorse alimentari esclusivamente locali, una tassa sui robot per proteggere i posti di lavoro. Ma anche il diritto alla riparazione per la generalità dei beni di consumo, da imporre alle aziende manifatturiere in cambio di una equa remunerazione. Il tutto finanziato dall’aumento dal 15% al 21% delle tasse federali sulle grandi corporations e dalla eliminazione di tutti i sussidi all’industria dell’Oil and Gas. Una piattaforma visionaria, per la cui realizzazione i Verdi non sono disponibili a fare da sponda né per Liberali né per i Conservatori, per un eventuale governo di minoranza. Nonostante i diversi passi falsi sul piano dell’immagine, Justin Trudeau ha condotto una campagna elettorale d’attacco: “Ai conservatori piace dire che sono dalla parte della gente, ma alla fine tagliano le tasse ai ricchi e i servizi sociali a tutti gli altri”. Lo slogan Choose Forward è un invito pressante al Paese a non tornare all’epoca di Harper.

Un aiuto indiretto potrebbe venirgli dal premier dell’Ontario, Doug Ford, il più impopolare conservatore del Paese, screditato dai suoi eccessi retorici e fischiato persino durante la parata dei Toronto Raptors, reduci dalla storica prima vittoria di una squadra canadese nell’NBA. La piattaforma elettorale presentata dai Liberali ha coperto estesamente i bisogni del suo elettorato principale, la classe media. Due miliardi di alberi da piantare nei prossimi 10 anni, aumenti per gli assegni famigliari e le pensioni di vecchiaia, due anni senza interessi per i mutui per finanziare l’educazione universitaria, niente rate da pagare per gli studenti sinché non guadagnano 35mila dollari all’anno. E niente bolli per chiedere la cittadinanza, più poliziotti e più giudici. A occhio e croce, un deficit di 20 miliardi all’anno per 4 anni, anche dopo aver introdotto una tassa del 3% sui guadagni dei giganti high-tech e una del 10% su barche auto di lusso e aerei privati.

I sondaggisti, intanto, continuano a misurare febbrilmente il polso del Paese. Per la prima volta, i Millennials saranno il gruppo demografico piu’ numeroso. Nelle elezioni del 2015, si mobilitarono per impedire un nuovo mandato di Harper, scegliendo un uomo nuovo come Trudeau. C’è chi, come Shachi Kurl, direttore dell’Angus Reid Institute, vede invece “il pericolo di un forte astensionismo giovanile perchè il marchio personale di un primo ministro che aveva promesso di fare le cose in modo diverso si è incrinato. C’è anche una intensa frustrazione nelle Province dell’Ovest, che galvanizzerà a votare per i Conservatori e Andrew Sheer”. Per Philippe Fournier, la crescita del Bloc Quebecois toglierà a Scheer seggi importanti nel Quebec rendendo necessaria una vittoria di larga misura in Ontario, allo stato improbabile, visto che i Conservatori sono dominanti nelle aree rurali, mentre i Liberali prevalgono nelle grandi aree urbane.  Nelle intenzioni di voto, però, la crescita del Bloc Quebecois potrebbe rompere le uova nel paniere anche ai Liberali, se dovessero diventare il primo partito nella provincia francofona. Per Eric Grenierdella CBC i due terzi dei canadesi sono preoccupati per l’ambiente, ma solo il50% pagherebbe in tasse piu’ di 100 dollari all’anno per combattere il cambiamento climatico e solo il 34% potrebbe rinunciare all’aria condizionata.

Per avere un Primo Ministro di un governo di maggioranza bocciato prima del secondo mandato bisogna andare indietro ai tempi della Depressione, ma Trudeau ha ammesso che i Conservatori potrebbe vincere le elezioni, riportando il Paese al grande freddo dell’era Harper. Un modo per mobilitare di nuovo i Millennials, per quanto delusi, e per sollecitare il voto strategico di chi, pur di non avere i Conservatori al governo, voterà Liberale anche se ha un cuore a sinistra che batte per l’NDP o i Verdi.  Una voce importante si è espressa a favore di Trudeau, quella dell’ex presidente Barack Obama, che ha ricordato l’impegno di Justin per l’ambiente. Ancora pochi giorni per capire se l’emergenza fiscale, dichiarata da Scheer, autonominatosi difensore dei piccoli imprenditori stretti dalla morsa tributaria dei Liberali, avrà la meglio sull’emergenza ambientale, messa al primo posto dell’agenda dei Liberali che, nonostante le tante contraddizioni, possono costruire – a cominciare dalla carbon tax – su un’azione politica già avviata e che i Conservatori non farebbero altro che cancellare.

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