Come opera la Link? Fa ricerca o politica? Si tessono rapporti o si intrecciano studi? La Link è stata definita: università dei Servizi, fucina dei 5 Stelle, ateneo vicino alla Russia, braccio italiano della Fbi. Qual è la verità?
A queste domande, compresa una sul caso Mifsud, risponde a Start Magazine Vincenzo Scotti, classe 1933, ministro Dc in diversi governi dal 1978 al 1992, sottosegretario agli Esteri nel governo Berlusconi, fondatore e presidente della Link.
Partiamo dalla vostra ultima mossa, raccontata da Start. Come mai il diktat, un po’ trumpiano, contro Cina e Huawei del Senato accademico della Link? Eppure ricordo suoi interventi sulla stampa non eccessivamente critici sull’adesione dell’Italia alla Via della Seta e sulla golden power prevista dal governo sul 5G. O mi sbaglio?
Parlare di diktat per gli indirizzi per le attività di ricerca da parte del Senato accademico di una università fa un po’ sorridere. Abbiamo infatti ribadito l’importanza di collaborare, sottolineando però, come ha fatto anche il Parlamento europeo, che quando si coinvolgono grandi imprese di economie dinamiche questo rapporto di collaborazione deve avvenire su un piano di reciprocità, trasparenza, e affidabilità comune degli standard, e delle regole; soprattutto su temi delicati come le nuove tecnologie. Del resto è per la stessa ragione che i governi si riservano, su infrastrutture strategiche, il diritto di ricorrere alla golden power, anche tra alleati.
La Link è uno “strano animale” nel panorama universitario, una lunga vita come realtà accademica (dall’università di Malta in poi), ma come università privata italiana è quasi una startup. Com’è nata l’idea?
L’idea è nata alla fine degli anni Novanta del secolo trascorso, quando svolgevo un corso nella Università di Malta. Con il sostegno di due grandi amici e statisti di grande livello italiano e maltese, come Francesco Cossiga e Guido De Marco, pensammo di avvalerci di una legge italiana, scaturita dalla Convenzione di Lisbona, per chiedere al governo italiano di autorizzare la nascita di una filiazione dell’Università di Malta. Era il 1999 il Rettore era Roger Ellul Micallef. Nel 2007 fummo riconosciuti come sede italiana della Università di Malta e infine nel 2011 fummo trasformati e riconosciuti come università italiana non statale legalmente riconosciuta.
Perché siete al centro di tante polemiche? Siete stati definiti: università dei Servizi, fucina dei 5 stelle, ateneo vicino alla Russia, braccio italiano della Fbi. Qual è la verità?
C’è, a volte, approssimazione e malizia negli occhi di qualcuno che ci guarda, senza volerci conoscere; una lente di parte o basata sulle chiacchiere. Purtroppo anche il discorso pubblico sulla scienza, sull’analisi politico-strategica, finisce in polemiche di parte e interpretazioni strumentali. La didattica universitaria e la ricerca scientifica lavorano senza frontiere, ma attenzione, come le ho detto per la Cina, la collaborazione in alcuni settori estremamente delicati (immagini la comunicazione digitale) richiede grande attenzione e controllo. Nel febbraio del 2015, nella nostra Università e con la nostra attiva partecipazione, si tenne un seminario internazionale sulla disinformazione nell’era digitale utilizzata strategicamente come strumento di guerra. In quella sede (esistono stampati dalla nostra Università Press) denunciammo come in Europa e negli Usa non ci fosse ancora abbastanza attenzione degli studiosi e dei decisori sul pericolo. Dopo qualche anno sotto l’evidenza il mondo occidentale avrebbe preso coscienza dell’uso della disinformazione da parte dei russi e cinesi contro l’occidente e della necessità di una contro-disinformazione.
Con quali università estere avete accordi?
La Link ha accordi di collaborazione con università di diverse aree strategiche del mondo, compresa la stessa grande Università di Mosca con cui collaborano tante eccellenti università italiane, anche se con questa ultima siamo rimasti al palo nello sviluppo delle iniziative concrete. E non per questo abbiamo cessato di mettere in guardia tutti i decisori dai pericoli che ci vengono dalle strategie di disinformazione contro i paesi cui siamo invece legati da intese e soprattutto da legami storici di cultura e solidarietà. Ed è con questa visione che la Link è stata la prima università ad includere nei suoi programmi graduate e post graduate gli studi di intelligence e sicurezza destinati anche agli appartenenti all’esercito, alle forze dell’ordine. La formazione e la ricerca si è svolta sempre nell’ambito delle regole e sempre adottiamo in modo stretto le regole di Chatham House. Ogni Paese ha bisogno di know-how universitario, come mostrano i grandi nostri alleati, e per questo abbiamo e collaboriamo con esperti omologhi nelle Istituzioni occidentali europee e extra-europee.
La Link Campus – si dice in ambienti accademici – ha un dipartimento Ricerca molto forte e strutturato, un rettore come Claudio Roveda e un pro-rettore Carlo Maria Medaglia (che vengono o dal Politecnico di Milano, dalla Cotec, “storica” fondazione sull’innovazione, da università Usa e da centri di ricerca mondiali). Avete progetti in aree nuove come la Criminologia, la Cyber security, Video Gaming, sostenibilità ambientale e molti sono progetti europei. Il dubbio è: ma fate davvero ricerca?
Sì. La ricerca non si fa con le parole. Abbiamo centri di ricerca divisi per area e tematici. Nasce da gare internazionali e nazionali vinte, da collaborazione con altri centri studi ed imprese, si incarna in ricercatrici e ricercatori ed approda a risultati concreti. Tutto questo è facilmente verificabile.
Veniamo al terreno che desta più curiosità: un’università privata che ha una laurea in difesa e sicurezza, in criminologia, intelligence, cybersecurity, politiche strategiche. Quanto pesa nella vostra offerta accademica questa “vocazione”?
La sicurezza fa parte del nostro Dna accademico in termini di analisi delle minacce, conoscenza, tecniche, strumenti. Siamo nati e cresciuti per rendere di livello accademico la formazione e la ricerca su questi temi critici, che non riguardano più solo le forze dell’ordine, le istituzioni, ma anche le aziende, le infrastrutture, le realtà private, e la vera infrastruttura strategica del nostro paese: le piccole e medie imprese
Avete lanciato un Mba in “Blockchain ed Economia delle criptovalute”; all’inagurazione c’erano da D’Alema a Luttwak, fino ad Antonio Maria Rinaldi, economista e neo deputato europeo della Lega. Non è un tema un po’ borderline, “insicuro”, visto che oggi si scopre spesso che dietro alle Crypto ci sono in alcuni casi delle truffe?
Più che borderline si tratta di una edge (all’avanguardia) technology. Le professionalità più richieste al mondo riguardano oggi la Blockchain, una tecnologia distribuita ed intrinsecamente sicura. Il numero di transazioni e anche di iniziative di grandi realtà istituzionali (dal Tavolo del MISE, alle Università, fino ai giganti della ICT) sulle cryptovalute, poi, supera di gran lunga il numero di casi critici, ed avere una formazione appropriata è il giusto modo per difendersi nel mondo Fintech e affrontarlo con una altissima capacità critica. Chiunque abbia un po’ di senso del futuro è interessato a capirne l’orizzonte strategico ed i termini di regolazione
Avete messo insieme Davigo ed altri, molto critici sul tema della corruzione, poi Davide Ermini, dirigenti dell’Anm sulla riforma del diritto penale. Ma al di là dell’ecumenismo istituzionale, qual è lo stato di salute della giustizia in Italia?
Non siamo ecumenici siamo pluralisti. Prepariamo leader per un mondo in continua evoluzione, non immaginiamo una influenza immediata in politica, ma il dialogo tra accademia, giuristi e istituzioni è parte integrante di una esigenza che avvertono tutti: mi pare evidente. Non è ecumenismo istituzionale, ma dialogo tra esperti e uomini delle istituzioni con l’obbiettivo, come fanno tante università e centri di ricerca, di contribuire alla grande questione nazionale della giustizia nel nostro Paese. Nella nostra Università ci sono molti accademici, ma anche manager e professionisti tra i docenti e vi sono anche alcuni autorevoli politici, come in tante eccellenti università. L’università deve preparare al lavoro, alle professioni ed alle competenze del futuro, con il concorso della scienza e della esperienza.
Un collaboratore della campagna di Donald Trump vi ha attribuito un ruolo nello “Spygate”. George Papadopoulos sarebbe stato attirato in una “sorta di scuola di spie” per incastrarlo, informandolo, attraverso un vostro insegnante Mifsud della disponibilità presso i russi di email compromettenti di Hillary Clinton…
Questa è una stupida falsità. Nel febbraio è venuto alla Link Campus University per un seminario di esperti, non da noi invitato ma come componente di una piccola delegazione del Center for International Legal Practice di Londra, di cui il Prof. Mifsud era membro del Board, come pubblicato sul sito del Center. E’ immaginabile che due persone che lavorano nello stesso Centro di ricerca avessero bisogno di venire a Roma per potersi far presentare e conoscersi? Il ricercatore era stato assunto da pochi mesi e il numero dei dipendenti, come si leggeva nel sito, erano pochissimi. Tutta la delegazione londinese ripartì immediatamente il giorno seguente e nessuno della Link gli aveva parlato fuori dall’incontro pubblico.
Quindi la Link non ha avuto alcun ruolo?
Per quanto riguarda la posizione della Link, le ho già detto quale è da sempre la nostra collocazione scientifica e culturale: siamo stati tra i primi a denunciare la strategia di disinformazione russa, prima che venisse presa pubblicamente sul serio come pericolo dall’Europa e dagli Usa. Mi viene da dirle che anche ciò che qualcuno ha detto di noi fa parte della disinformazione.
In che senso?
Vorrei precisare brevemente da quello che si legge su internet che Mifsud è stato un professore e anche responsabile dell’ufficio internazionale della Università di Malta fino 2006, poi capo di gabinetto del Ministro degli esteri di Malta, poi Rettore per alcuni anni della Università Europea Emuni, e anche Rettore del Consorzio Universitario di Agrigento, per poi divenire professore e direttore della accademia diplomatica di Londra (unit della Est Anglia University e successivamente della Stirlig University) ed anche full professor della Stirlig. Ho voluto ricordare per capire come fino allo scoppio della tempesta giornalistica nessuno avrebbe potuto sospettare di cui si è parlato dopo. Nel suo lungo percorso accademico e nei pochi spazio di tempo disponibile ha partecipato certamente ad alcuni seminari della Link ma senza stabili ruoli di docenza. Solo nell’anno 2015/2016 è stato chiamato, quanto full professor di una Università straniera a tenere un corso. Nel 2016. decaduto da full professor della Stirling, non ha potuto tenere il suo corso non avendo più il requisito previsto dalla legge italiana.
Alle falsità non rispondiamo.