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Chi sarà il nuovo Papa? Verso un pontificato inclusivo?

Il futuro Papa tra disabilità, diritto internazionale e diplomazia vaticana. L'intervento di Francesco Alberto Comellini, componente del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Permanente sulla Disabilità Osperdi Ets

Mentre il Collegio cardinalizio si avvicina ad assumere una delle sue decisioni più delicate, si delinea con crescente chiarezza il profilo di un pontificato che, nel solco di Papa Francesco, potrebbe imprimere una svolta anche sul versante della tutela internazionale dei diritti delle persone con disabilità.

Papa Francesco ci ha abituato all’immagine della disabilità non nascosta, l’attenzione verso la marginalità, le fragilità e l’inclusione sociale, che ha contrassegnato il suo magistero sin dal principio, potrebbe trovare nel prossimo successore di Pietro un ulteriore sviluppo: non solo pastorale, ma anche istituzionale e diplomatico. Cosa questa che personalmente auspico.

Al centro di questa prospettiva si colloca una questione cruciale e tuttora irrisolta: la mancata adesione della Santa Sede alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), adottata nel 2006 e oggi ampiamente ratificata a livello globale.

La Santa Sede, pur avendo riconosciuto più volte il valore del testo convenzionale e partecipando attivamente ai dibattiti internazionali sulla disabilità, non ha mai formalmente sottoscritto la Convenzione, in parte per ragioni teologiche e in parte per riserve dottrinali su alcune formulazioni, in particolare quelle legate alla bioetica, all’autodeterminazione e all’accesso ai diritti riproduttivi. Tuttavia, un’elezione pontificia che ricadesse su una figura fortemente sensibile al tema dell’inclusione – come il cardinale Luis Antonio Tagle o l’italiano Matteo Zuppi – potrebbe rappresentare un passaggio storico per un ripensamento delle scelte diplomatiche della Santa Sede in materia.

Luis Antonio Tagle, teologo filippino e prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha fatto della dimensione dell’accoglienza, della prossimità ai poveri e della dignità della persona il nucleo della sua pastorale. Nei suoi interventi pubblici emerge una costante attenzione alle persone con disabilità come soggetti non da assistere, ma da includere nella vita ecclesiale, educativa e comunitaria. Una sua elezione al soglio pontificio rappresenterebbe non solo un segno della globalizzazione ecclesiale, ma anche una possibile apertura a una revisione delle posizioni vaticane in tema di diritto internazionale dei diritti umani. La CRPD, con i suoi principi di partecipazione piena, accessibilità, non discriminazione e rispetto per l’autonomia, potrebbe essere rivalutata sotto una nuova luce, non più come veicolo di rischi etici, ma come strumento di alleanza tra la Chiesa e le persone più fragili.

Analogo discorso vale per Matteo Zuppi, figura chiave del cattolicesimo sociale europeo, profondamente radicato nell’esperienza della Comunità di Sant’Egidio. Il suo impegno sul campo, in progetti di inclusione abitativa, liturgica ed educativa per persone con disabilità, si combina con un’azione diplomatica che ha già toccato dossier di altissimo profilo, come la mediazione nei conflitti e il dialogo tra le fedi. In lui, il tema della disabilità si intreccia con quello della costruzione della pace sociale e della giustizia intergenerazionale, offrendo uno scenario potenzialmente fertile per una revisione della posizione vaticana rispetto agli strumenti internazionali di tutela dei diritti.

Va tuttavia osservato che una svolta in questa direzione non sarebbe priva di controindicazioni. La firma della CRPD comporterebbe l’assunzione di obblighi giuridici sovranazionali, incluso il riconoscimento di sistemi di monitoraggio e rendicontazione in cui la Santa Sede dovrebbe interagire con organismi Onu su base continuativa. Ciò potrebbe essere letto come una limitazione della sovranità morale e giuridica della Chiesa, in particolare su temi sensibili come la vita, la famiglia e la sessualità. Inoltre, parte del mondo cattolico più tradizionale potrebbe percepire la firma come una concessione a un modello antropologico non compatibile con la dottrina sociale della Chiesa. La gestione diplomatica di un simile passaggio richiederebbe una strategia estremamente raffinata, capace di mantenere, garantendo, l’autonomia della Santa Sede in materia bioetica pur riconoscendo il valore universale della dignità delle persone con disabilità.

Sul piano delle normative internazionali ed eurounitarie, il Vaticano ha sempre mantenuto una posizione di interlocuzione critica ma rispettosa. Pur non essendo parte dell’Unione europea né di convenzioni regionali vincolanti in materia, la Santa Sede segue da vicino l’evoluzione dei sistemi giuridici nazionali e comunitari. Le sue istituzioni, a partire dalla Pontificia Accademia per la Vita e dai dicasteri sociali, hanno più volte espresso giudizi positivi su norme che rafforzano l’inclusione, l’accessibilità e i diritti civili delle persone con disabilità, pur riservandosi margini di dissenso laddove tali norme possano entrare in conflitto con la visione cristiana dell’uomo e della vita.

L’elezione di un Papa che provenga da culture pastorali orientate alla “tenerezza evangelica” verso i fragili – come accade con Tagle o Zuppi – potrebbe rappresentare la chiave di volta per ricomporre il dialogo tra la Chiesa e il diritto internazionale sui temi della disabilità. Non si tratterebbe semplicemente di firmare una convenzione, ma di riaffermare in termini positivi la centralità della persona con disabilità nella vita ecclesiale e nella costruzione della comunità internazionale. In questo scenario, la Chiesa si confermerebbe, ancora una volta, come coscienza etica del mondo, capace di aprirsi senza snaturarsi, di accogliere senza cedere, di guidare senza imporsi.

Un simile atto avrebbe importanti ricadute geopolitiche. Rafforzerebbe l’immagine della Santa Sede come soggetto multilaterale affidabile, impegnato nei grandi temi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e darebbe voce a milioni di cattolici nel mondo che vivono ogni giorno la disabilità come esperienza di fede, resistenza e speranza. In un mondo attraversato da disuguaglianze crescenti, la scelta di un Papa che riconosca nel diritto delle persone disabili un orizzonte non solo giuridico, ma profondamente cristiano, segnerebbe un passo di grande portata storica.

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