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Verso le elezioni europee (femminili plurali)

L'opinione di Alessandra Servidori, blogger di Start Magazine

La parità tra uomini e donne è tra gli obbiettivi dell’Unione europea. Il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne è sancito nei Trattati già dal 1957, la promozione della parità è riconosciuta negli articoli 2 e 3 del Trattato nonché nell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali e per ultimo nella nostra magnifica Costituzione l’art 51 ne ha novellato sapientemente i diritti. Tanti sono i risultati ottenuti, basti ripercorrere l’elenco della normativa comunitaria, confrontarsi con l’evoluzione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, esaminare i programmi e gli sviluppi anche recenti.

È sufficiente rileggere senza pregiudizi la storia dell’Unione europea per rafforzarsi nella convinzione che essa sia “amica” delle donne. Oggi potrebbe non sembrare così, perché i diritti e le conquiste ci appaiono quasi naturali.

Anche il superamento dell’originaria impostazione protettiva e di tutela a favore di scelte di parità deriva dall’evoluzione della legislazione europea. Già nel 1983-1984 la raccomandazione sulle azioni positive è stata fondamentale: in Italia non se ne parlava ancora, grazie a quegli interventi nell’Unione europea abbiamo alimentato l’approccio sulle discriminazioni avanzando sul versante delle azioni positive. Ricordo anche il lavoro sulla direttiva sui congedi parentali, anche quelli introdotti grazie alla normativa europea, migliorando sempre più gli orientamenti dei Paesi partners fino ad arrivare finalmente alla recentissima Direttiva del Parlamento che il 4 aprile scorso ha diramato le indicazioni per aumentare il congedo di paternità obbligatorio e sistemi di work balance.

In alcuni casi come la Direttiva sulla maternità l’Italia è stata maestra per l’Europa: sulla protezione della maternità la disciplina europea sembrava poco avanzata rispetto a quella italiana ma sostenemmo la normativa europea perché, anche quando non necessaria per le donne italiane, lo era per quelle di altri paesi: le donne, in Europa, dovevano avanzare dappertutto per scongiurare arretramenti e passi indietro. È così è ancora oggi e non solo per la legislazione che ha definito i diritti e le norme di parità: basti pensare al ruolo decisivo dei programmi, dell’utilizzo dei fondi, alla straordinaria esperienza dell’Erasmus e al veicolo di libertà che ha rappresentato per le giovani.

È necessario in questi ultimi giorni che precedono l’appuntamento elettorale diffondere la consapevolezza di quanto l’Europa abbia inciso a favore delle donne. Rispetto al prossimo voto, le donne costituiscono la maggioranza tra gli incerti, e dobbiamo maggiormente operare perché non alimentino l’astensionismo, legato molto alla fase difficile delle istituzioni comunitarie, alla carenza di democraticità, alla latitanza rispetto a temi fondamentali quali l’immigrazione, dalla insufficiente implementazione delle politiche sociali europee, dalla disomogeneità delle condizioni delle donne in tutta l’Europa. Non tutti i 28 paesi sono nelle stesse condizioni, vi è stata qualche eccessiva accelerazione nelle adesioni. Si sconta anche la circostanza che i partiti politici non sono transnazionali e che il voto è vissuto come un sondaggio rispetto alle elezioni politiche nazionali. Invece, l’iscrizione diretta a partiti anche europei costituirebbe uno stimolo per la democratizzazione anche della vita interna ai partiti, nel nostro paese necessaria ma sempre rinviata. È anche carente da parte dei partiti l’informazione sugli specifici risultati, ottenuti in sede di Unione europea, per i diritti e migliori condizioni di vita e di lavoro delle donne. Sono convinta che è un’opportunità straordinaria per aumentare la presenza femminile nel Parlamento Europeo perché ci auguriamo che le donne elette siano di più: oggi sono solo il 36% degli europarlamentari.

Si pensi al lavoro di tante da Marisa Rodano in poi, all’impegno straordinario di parlamentari negli anni, ai risultati nell’ultima legislatura per la cultura, per i congedi parentali, contro le molestie sui luoghi di lavoro e la sensibilità verso la famiglia. L’esperienza, se la consideriamo con obiettività, ci dimostra che il genere, ancora una volta, non è indifferente, che sono proprio le donne nel parlamento europeo a impegnarsi maggiormente per la promozione di diritti e opportunità per tutte e soprattutto per l’occupazione femminile, la flessibilità e la produttività, i servizi per il bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro.

Oggi abbiamo davanti sfide decisive a sostegno della pace, della sostenibilità ambientale, della trasformazione digitale: abbiamo bisogno di maggiore forza e integrazione europea. Le scelte che si impongono per il clima, per la pace, per la democrazia necessitano della capacità e della cultura delle donne. L’Europa è la regione del mondo più sostenibile, ma senza inversioni di tendenze, senza scelte improntate al rigore e alla cura, non conseguirà gli obiettivi delle nazioni unite dell’agenda 2030. In questi giorni 27 Capi di Stato e di Governo, tra cui il Presidente Mattarella, hanno ricordato che “uniti siamo più forti in questo mondo sempre più instabile e complesso”. Uniti e soprattutto unite.Tutte le scelte, per essere concrete ed efficaci, necessitano di valutazione dell’impatto sul genere soprattutto sui bilanci economici. Alle nuove deputate spetta un compito delicato che riguarda l’implementazione e della valutazione della normativa europea già in vigore soprattutto per sviluppare l’autentica democrazia paritaria per migliori diritti e una miglior vita, soprattutto per le giovani madri e le nonne grandi.

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