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Verità e mezze bugie sui vertici di Tirana e Kiev

Che cosa si è detto e scritto, e che cosa non si è detto e scritto, sui recenti vertici internazionali. Il corsivo di Battista Falconi

Avendo sostenuto che Giorgia Meloni fa bene a non esporsi troppo nei traballanti scenari internazionali lo vogliamo ribadire, osservando però che nel vertice della Comunità politica europea di ieri a Tirana forse non è andato tutto perfettamente. Com’è noto, Macron, Merz, Zelensky, Tusk e Starmer si sono visti senza coinvolgere la premier, che si è presentata davanti alle telecamere per spiegare: “Non ho partecipato perché noi non mandiamo truppe”. Per poi, come di consueto, contrattaccare: “Ci si chiede di partecipare per mandare le truppe in Ucraina o per farci una foto?”.

A proposito: durante la riunione della CPE, la premier è seduta nella fila che conta tra Merz e von der Leyen, insieme a Rutte, Macron, Starmer, Zelensky e il padrone di casa Edi Rama, ma nella foto di famiglia del vertice si vedono affiancati Rama, il leader francese, il presidente ucraino, Keir Starmer e Ursula von der Leyen. Meloni è dall’altro lato, tra il primo ministro danese Mette Frederiksen e Tayyip Erdogan. Ieri peraltro la premier ha avuto bilaterali proprio con il presidente turco, con Rama e von der Leyen, mentre oggi a Palazzo Chigi incontra il Presidente del Libano, il Primo Ministro del Canada e Friedrich Merz.

Quello con il Cancelliere sembra l’appuntamento di maggior rilievo, per confermare di essere “un partner importante” della Germania: questa l’espressione con cu il governo tedesco ha chiuso il polverone alzato da di Die Welt, che ha scritto di un’esclusione di Roma dai partner strategici su input della Spd. Indiscrezione smentita anche dagli stessi socialdemocratici, dal ministro degli Esteri e dal portavoce del governo, Steffen Meyer: Merz è “molto lieto” di collaborare con il nostro governo, che ha “un ruolo assolutamente prioritario anche sulla questione Ucraina”.

Molto meno amichevoli le frasi di Macron che a Tirana ha risposto offensivo alle parole di Meloni: “C’è un errore di interpretazione, non abbiamo parlato di inviare truppe ma di cessate il fuoco. Guardiamoci dal divulgare false informazioni, ci sono già quelle russe”. C’è voluto il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, tornato al suo ruolo di portavoce, per ribattere: “Bene che Macron accantoni l’idea di truppe in Ucraina al di fuori del contesto Onu. La proposta più seria rimane quella italiana”.

È vero che i rapporti con il presidente francese sono quelli che sono, anzi sempre peggio. Macron ha avvertito che se George Simion vincesse le elezioni rumene di domani, le conseguenze per la Moldavia sarebbero “molto dannose”, alludendo alla pressione russa. Guarda caso, Simion ha definito il governo italiano “protagonista” e “il modello da seguire” e, a via della Scrofa, ha avuto un incontro con Meloni, Morawiecki, Marion Marechal, Carlo Fidanza collegato da Bruxelles e il segretario di ECR Antonio Giordano. Alleati in piena regola.

Ma è anche vero che il vertice dei Volenterosi nella capitale albanese era diverso dalla riunione di Kiev, dove Meloni si era comunque (o solamente) video collegata. Seguiva infatti il discorso della presidente della commissione europea sulle nuove sanzioni contro la Russia, dopo il disco verde degli ambasciatori e in attesa dell’ok dei ministri degli Esteri dell’Ue. E i leader europei si sono collegati telefonicamente con il presidente Trump proprio per parlare di sanzioni e degli incontri in Turchia, visto che gli Usa avevano chiesto di temporeggiare fino al vertice di Istanbul. Alla fine, i Volenterosi hanno siglato una dichiarazione congiunta chiedendo unità tra Usa e Ue e criticando Putin dove non c’è la firma di Meloni, che poco prima del vertice aveva dichiarato: “Continueremo al fianco dell’Ucraina, ogni sforzo affinché questa guerra finisca immediatamente”.

Nessun fallimento apocalittico, la partita è lunga e complessa, ma una riflessione meglio farla. L’impressione è che gli incontri meloniani siano marginali, a Tirana come a Roma. Merz, per dire, subito dopo l’insediamento si è recato da Macron, Tusk e a Bruxelles, mentre a Palazzo Chigi va nella cornice del viaggio per l’insediamento di Papa Leone XIV. Sfumature su cui gongolano ilPd e i Cinque stelle (ma stavolta si è levata anche la critica di Carlo Calenda) che, debolissimi in politica interna, sottolineano “la marginalizzazione dell’ambigua e inconsistente Italia meloniana in Europa” per far saltare i nervi della premier.

Non sono dispetti, le opposizioni sanno che nella partita globale l’appeal personale di Meloni conta e indebolirlo è una strategia, per quanto meschina. L’abbiamo visto a Tirana con l’amico Rama, sempre prodigo di plateali inchini e complimenti per la “sorella” e “protettrice del nostro Paese”. Giorgia conquista e l’Albania per noi non è un investimento da poco.

Altro spunto, in queste contingenze la diplomazia non sembra particolarmente pervenuta. Eppure qualche sforzo potrebbe essere utile. Come in Turchia, dove non è andato tutto in tilt come si dice. Zelensky non c’era perché Putin non si è presentato, nessun cessate il fuoco né tanto meno accordi di pace, ma si sono scambiati mille prigionieri per parte e c’è stato l’incontro tra Ucraina e Russia, rimaste una di fronte all’altra ad ascoltare la traduzione delle dichiarazioni dei dirimpettai. Non proprio pochissimo.

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