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Che cosa si nasconde dietro il boom delle valute emergenti

Ci sono elettronica ed hedge fund dietro il boom delle valute emergenti. Il post di Maurizio Sgroi

 

Fra i tanti segnali distorti che arrivano dai mercati in quest’epoca di esagerazione finanziaria la Bis nella sua ultima Quarterly review ne ha individuato un altro che vale la pena raccontare in poche righe: il boom di negoziazioni che si è registrato sulle valute virtuali fra il 2016 e il 2019, quando il turnover di queste monete ha superato quello delle principali valute.

In media, infatti, il turnover valutario è cresciuto globalmente del 33%, a fronte di cui il +60%, con una media di 1,6 trilioni di dollari al giorno, registrato dalle valute emergenti (EME) non passa certo inosservato. Quando una classe di asset – fossero pure delle monete – spunta certi picchi è chiaro che sono all’opera dei meccanismi che prima non agivano.

Il fatto, poi, che questi movimenti abbiano come epicentro l’Asia non è certo sorprendente. E’ in Asia che si concentrano molti dei movimenti più intensi della contemporaneità, a cominciare ovviamente da quelli finanziari.

Se proviamo a scrutare fra le righe, per capire a cosa si debba questa esuberanza, scopriamo che “un aumento della quota di trading generata da hedge fund, società di trading proprietarie (PTF) e altri soggetti finanziari”.

Una seconda tendenza che ha contribuito a determinare questa accelerazione, spiega la Bis, “è stata un’impennata del commercio offshore”. Che ovviamente è una delle modalità con le quali si esprime ”il crescente appetito degli investitori globali per le attività EME”. Anche qui, nessuna sorpresa. Nella caccia al rendimento che ormai agita i mercati da un decennio, ossia da quando i tassi di interesse sono stati condotti rasoterra, le attività di questi paesi, che hanno ritmi di crescita più elevati dei paesi emergenti, appaiono più seducenti. Se uno non considera i rischi, ovviamente.

La novità forse va cercata nella circostanza che “l’elettronificazione del trading FX ha consentito ai giocatori più piccoli di partecipare a un mercato tradizionalmente dominato dal trading tra rivenditori di grandi banche”. Il progresso tecnico, insomma, fra gli annessi e i connessi porta con sé anche una notevole “democratizzazione” del trading, aprendo porte prima chiuse anche a piccoli soggetti dotati di capitale.

Questa “elettrificazione” dei mercati, ossia la quota crescente di scambi che si effettua con meccanismi algoritmici, è un’altra tendenza globale che si associa al crescente appetito per il rischio.  Il combinato disposto genera una miscela altamente instabile. Quindi esplosiva. Faremmo bene a ricordarlo.

(Post di Maurizio Sgroi tratto dal suo blog)

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