Il contributo si propone di offrire un’analisi logico-giuridica dei principali rilievi mossi contro il testo di revisione costituzionale approvato dal Parlamento nel corso della XIX legislatura.
Argomento numero 1: “La riforma è un attentato contro la Costituzione”
L’attentato alla Costituzione Italiana è una delle due fattispecie incriminatrici di rango costituzionale (art. 90 Cost.) per cui è prevista la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. Si tratta perciò di un reato proprio, in quanto perfezionabile solo dal Capo dello Stato. Invero, esiste altresì un reato comune (art. 283 c.p.) intitolato: “Attentato contro la costituzione dello Stato”.
La predetta norma dispone:
“Chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni”.
Domanda: l’approvazione di un disegno di legge di revisione costituzionale, al termine di un lungo iter parlamentare e nel rispetto delle garanzie costituzionali (art. 138 Cost.), configura un atto di violenza?
Argomento numero 2: “Le riforme costituzionali non le può fare un Governo”
Sul punto si confondono due piani che dovrebbero invero rimanere distinti: la legittimità e l’opportunità di un atto.
L’art. 71 Cost. stabilisce che “L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. (…)”. Dalla lettura testuale del dispositivo sembra quasi suggerirsi un ordine di preminenza dell’iniziativa legislativa del Governo, il quale è citato come primo soggetto legittimato a promuovere tale attività costituzionale. È necessario però leggere la norma in combinato disposto con l’art. 87 Cost., il quale sancisce: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. (…) Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo”.
Ogni qualvolta si delegittima un’iniziativa legislativa del Governo, per comprensibili ragioni di opportunità politica, non si dimentichi che l’attacco viene implicitamente rivolto anche al Presidente della Repubblica che lo ha permesso. Difatti, sia che si tratti di un decreto legge oppure, come in questo caso, di un disegno di legge, è il Capo dello Stato ad essere titolare dell’organo costituzionale deputato ad autorizzare l’atto legislativo di matrice governativa.
Argomento numero 3: “È una riforma che non velocizza i processi e non risponde alle esigenze dei cittadini”
Qui la fallacia argomentativa si delinea sotto tre profili differenti.
Primo. Ogni ordinamento giuridico costituisce un sistema e, come tale, eredita le caratteristiche di ciascun oggetto sistemologico: circolarità, retroattività, omeostasi, equifinalità, gerarchia, autopoiesi, autoregolazione, inclusivltà e così via. Il giurista che approfondì meglio le dinamiche di sistema fu il costituzionalista Niklas Luhmann, il quale, parimenti al biologo Ludwig von Bertalanffy per i sistemi fisici, fornì un apporto fondamentale all’evoluzione del pensiero sistemico e alla teoria generale dei sistemi sociali. Orbene, stante questa premessa, risulta molto arduo predire con sufficiente esattezza l’effetto finale su di un sistema istituzionale di una o più modifiche normative. Tuttavia, un ragionamento analogo può svolgersi in via estensiva per qualunque progetto di intervento legislativo passato o futuro, costituzionale o ordinario. Al proposito è difatti possibile porsi i seguenti interrogativi: il legislatore costituzionale del 2001, che operò radicalmente sul Titolo V della Costituzione Italiana, aveva già previsto il risultato costituzionale, sotto molti aspetti nocivo, che si sarebbe realizzato negli anni? Il riformatore costituzionale del 2020 aveva già calcolato i possibili esiti a medio-lungo termine, voluti o collaterali, di una netta diminuzione della rappresentanza parlamentare?
Osserviamo ora il secondo profilo di criticità. L’amministrazione della giustizia fa certamente parte del più ampio ambito della Pubblica Amministrazione e, come tale, si colora dei principi propri del diritto amministrativo: buon andamento, imparzialità, efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, eccetera. Tuttavia, allorquando si discute della variazione dell’assetto costituzionale attuale della Magistratura, è essenziale ponderare altresì i principi che governano il settore del diritto processuale (art. 111 Cost.). Allora, ampliando o aggiustando la prospettiva giuridica, si nota che a fianco alla “ragionevole durata del processo” si inseriscono altri diritti, quali ad esempio: diritto alla riservatezza, diritto al giusto processo, diritto al contraddittorio in condizioni di parità tra le parti processuali, diritto alla formazione della prova nel dibattimento. Domanda: davvero la garanzia effettiva di queste prerogative costituzionali non risponde alle esigenze dei cittadini? Ancora: qualcuno può dirsi sin d’ora certo che l’adempimento realizzativo e concreto di questi doveri costituzionali non favorisca veramente l’efficacia dell’economia processuale?
Brevemente si affronta quindi l’ultimo aspetto degno di valutazione in merito a questo terzo argomento proposto. Chi critica la presbiopia del riformatore costituzionale, imputandolo al contempo di scarsa o cattiva lungimiranza, dovrebbe sapere che obiettivi di lungo periodo possono e debbono coesistere con traguardi di breve-medio termine. Perciò, si fatica a ravvisare contraddittorietà nomopoietica nella misura adottata.
Argomento numero 4: “È una riforma inutile/dannosa”
Si rimanda alle controdeduzioni formulate al punto precedente. Si aggiunga solamente la necessità di scioglimento del dilemma: o la riforma è inutile o è dannosa; si impiega l’aut, non il vel. Tertium non datur. Infine si valuti che, se la diagnosi descrive una comorbidità multipla, è immaginifico ritenere che un singolo intervento terapeutico possa risolvere il problema complessivo. Tuttavia, l’inattività o l’inerzia potrebbe aggravare il quadro clinico.
Argomento numero 5: “La separazione delle carriere in Magistratura favorisce l’impunità dei politici”
La storia del diritto giudiziario contemporaneo dimostra il contrario. Nei sistemi ove vige il meccanismo della separazione delle carriere tra magistrato giudicante e magistrato inquirente/requirente, le più alte cariche dello Stato vengono frequentemente sottoposte al giudizio della magistratura. Nel Regno Unito e in Spagna sentenze giudiziarie hanno colpito nobili e monarchi; in Francia, recentemente, un ex Capo di Stato è stato incarcerato. In Italia, di converso, ove attualmente non è in vigore la cosiddetta ‘separazione delle carriere’ in Magistratura, dopo due decenni di cospicui investimenti economico-giudiziari da parte dello Stato, si è raggiunta la “lieve” condanna definitiva soltanto per una quarta carica dello Stato: il Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi.
Argomento numero 6: “La separazione delle carriere in Magistratura di fatto c’è già, perciò la riforma nasconde in realtà un’intenzione diversa”
Come postulato generale, il momento giuridico respinge il criterio dell’etica dell’intenzione (Gesinnungsethik), dunque il parametro materiale vince qualsivoglia opposizione spiritualistico-ideologica. Cionondimeno, l’argomentazione è comunque errata. Le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) sono enumerate e inserite in un numerus clausus disciplinato dall’art. 105 Cost.; esse riguardano cinque ipotesi: assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e sanzioni disciplinari nei riguardi dei magistrati. Il costituente volle evitare, anche con questa scelta, di istituire un autentico autogoverno della Magistratura. Esso sarebbe contrario al principio generale della separazione dei poteri, poiché in tale configurazione l’ordine giudiziario risulterebbe non bilanciato, ossia illimitato, e dunque irresponsabile. L’argomento contrario, il quale fa perno sul numero esiguo di magistrati che scelgono di cambiare ruolo da inquirente/requirente a giudicante e viceversa, omette di specificare che il trasferimento concerne solo una delle cinque ipotesi di gestione della carriera di un magistrato. Difatti, nella prassi si danno trasferimenti fittizi, ovvero non riconducibili ad una decisione del singolo magistrato, bensì stabiliti ad esempio a titolo di trasferimento o sanzione disciplinare tramite motu proprio del CSM medesimo. Pertanto, si tratta di un classico esempio di scuola di argomento fantoccio.
Argomento numero 7: “L’elevato numero di assoluzioni dimostra di per sé l’indipendenza funzionale tra pubblico ministero e giudice”
Primo. Se il pubblico ministero è realmente ‘parte imparziale’, ovvero indifferente al contenuto decisorio (decisum) richiesto ma infine decretato dall’organo giudicante, allora non si comprende perché si assuma in via esclusiva il solo dato delle pronunce assolutorie, e non anche quello delle sentenze di condanne, quale indice di indipendenza e imparzialità delle funzioni. Difatti, ben potrebbe darsi l’ipotesi inversa e equipollente di assoluzione sollecitata dal pubblico ministero e di condanna pronunciata dal giudice.
Domanda: tale uso surrettizio della statistica giudiziaria, non nasconde forse una riserva interiore, un istinto malcelato, un non detto, una sorta di lapsus argomentativo da parte di colui che se ne fa vece?
Secondo. È un classico esempio della fallacia di falsa causa, poiché si attribuisce al dato statistico delle pronunce assolutorie (effetto) un significato dimostrativo improprio dell’indipendenza funzionale tra organo giudicante e pubblico ministero (causa). La cifra percentuale esibita documenta solamente che, in un certo numero di casi, il giudice non ha seguito la tesi del procuratore, ma non si spinge fino a provare che intercorra tra le due figure processuali un’indipendenza strutturalmente garantita. Come noto ai giuristi, il numero delle assoluzioni può dipendere da numerosi altri fattori: indagine lacunosa, inchiesta superficiale, impianto probatorio debole, criteri di rinvio a giudizio troppo laschi, interpretazioni giuridiche divergenti tra giudici e pubblici ministeri, vizi di forma nel procedimento, strategie processuali aggressive ma irriflessive, eccessiva durata dei processi con conseguente deterioramento della prova, eccetera. Nessuno di questi cofattori è direttamente collegato all’indipendenza funzionale tra giudicante e inquirente/requirente. Al contrario, essi potrebbero essere sintomatici proprio della necessità di separare ab origine i percorsi lavorativi, in modo da selezionare tramite concorso pubblico le persone con il miglior profilo attitudinale e incrementare così in seguito il tasso di specializzazione professionale e la preparazione specifica. In sintesi, per apparente paradosso, l’uso acritico e fazioso della statistica potrebbe rivelarsi in verità un argomento a favore dei sostenitori della riforma costituzionale.
Terzo. Si conclude la disamina di questo argomento con un’interrogazione metaforica. Se nel corso di un campionato di calcio gli arbitri fischiano molti falli, oppure all’opposto se non ne segnalano quasi mai, allora da questo semplice fatto si può inferire che l’arbitrato sia effettivamente imparziale nei confronti delle due squadre contendenti? O si sta facendo un cattivo uso della statistica?
Argomento numero 8: “La selezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) tramite sorteggio è irrazionale”
Qualunque studente di Giurisprudenza alle prime armi sa bene che l’elemento stocastico è onnipresente nel diritto, processuale e non. Solo a titolo di esempio: i giudici popolari della Corte d’Assise sono selezionati mediante sorteggio; in egual misura, i cittadini chiamati ad integrare la composizione della Corte Costituzionale nei casi di sottoposizione a giudizio del Presidente della Repubblica, sono estratti casualmente. Si potrebbero citare molte altre situazioni giuridiche governate dal fortuito; tuttavia, quelle menzionate sono sufficienti per dimostrare che l’ordinamento normativo della Repubblica si affida già al caso, e persino nella casistica processuale più complessa e delicata. Si ricordi infatti, seguendo l’insegnamento dei classici, che Tyche va spesso a braccetto con Dike.
Argomento numero 9: “Il sorteggio per i soli membri togati del CSM, e non anche per quelli laici, è il solito privilegio che si dà alla politica”
In primo luogo, i membri non togati del Consiglio Superiore della Magistratura (cosiddetti: ‘laici’) sono eletti, in base all’art. 104 Cost. “tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”. Inoltre, sempre la suddetta norma costituzionale dispone che questi professionisti “non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale”. Da ciò si desume che la componente laica del CSM non possa appartenere alla politica. Come avevo già accennato in uno scritto del maggio 2024: “Giustizia e magistratura: marginalia costituzional-giudiziari”, il costituente introdusse tale categoria esterna all’ordine giudiziario al fine di evitare la creazione di una casta, di un autogoverno della Magistratura. L’elezione parlamentare dei membri non togati costituisce dunque un contrappeso democratico a tale possibile degenerazione istituzionale, consentendo alla società civile qualificata di compartecipare alle decisioni interne alla Magistratura attraverso la mediazione dei rappresentanti popolari presenti nel Parlamento. Perciò, i metodi di selezione delle due categorie consiliari possono essere differenti, in quanto le funzioni costituzionali ad essi attribuite sono diverse e complementari. Non sussiste pertanto alcun obbligo di “parallelismo” (Guzzetta, Il Foglio 18-01-2025); quindi non è logicamente possibile produrre l’argomento del favoritismo castale alla classe politica. La composizione togata assicura al CSM competenze tecniche e indipendenza, ma rischia di pervertirsi, di snaturarsi in un autogoverno correntizio della Magistratura; la presenza degli elementi non togati serve a garantire l’equilibrio dei poteri e una maggiore responsabilizzazione nei confronti della società civile, con il pericolo intrinseco tuttavia che la sua assolutizzazione finisca per configurare un organo costituzionale partitico. In definitiva: due canali diversi di reclutamento hanno lo scopo di evitare che il Consiglio Superiore della Magistratura si trasformi, da un lato, in un sistema istituzionale chiuso; dall’altro, per ragioni simmetriche, che esso divenga eccessivamente politicizzato. Nella nuova architettura costituzionale, a tale doppia modalità di ingresso nel CSM corrisponde allora, con l’intento di scongiurare commistioni clientelari nelle candidature, un doppio meccanismo elettivo.
Argomento numero 10: “L’introduzione di un’Alta Corte disciplinare è una singolarità costituzionale”
Qui sovviene di suggerire un ragionamento storico-giuridico. La medesima Costituzione Italiana rappresentò, al tempo della sua promulgazione nel 1948, un unicum giuridico sulla scena internazionale. Eppure, i principi fondamentali in essa enunciati furono assunti a modello anche per la successiva Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, e ancora oggi molti commentatori la vantano come “Costituzione più bella del mondo”. Per cui, l’eccezionalità giuridica non equivale necessariamente ad una malignità costituzionale. In questa circostanza, lo scorporo in due istituzioni separate della gestione della carriera dei magistrati dalla funzione di giudizio del processo disciplinare, è volto ad impedire un’eccessiva concentrazione di potere in capo ad un solo organo, con il conseguente rischio di proliferazione di conflitti di interessi. La terzietà di questo inedito organismo costituzionale libera il Consiglio Superiore della Magistratura dal sospetto di autoreferenzialità e corporativismo. Si aggiunga che anche in Francia e in Spagna sono previste sezioni disciplinari specializzate interne ai rispettivi “CSM nazionali”, per cui è alquanto opinabile discorrere di anomalia italiana.
Argomento numero 11: “La riforma costituzionale impedisce l’interscambio culturale tra giudice e pubblico ministero, inibendo così la formazione giurisdizionale di quest’ultimo, ridotto ormai alla figura di ‘superpoliziotto'”
Primo. Chiunque ambisca a ricoprire la carica di pubblico ministero deve precedentemente ottenere la laurea magistrale in Giurisprudenza. Il percorso accademico prevede il superamento di, almeno, 25 esami in materie giuridiche. Dunque un’idea, per quanto vaga e indefinita, del diritto, dovrebbe averla costruita anzitempo. In second’ordine, il pubblico ministero non svolge funzioni giurisdizionali poiché il ruolo a cui è adibito non consente di “dire il diritto”, ovvero di risolvere conflitti di applicazione normativa, bensì consiste nell’esecuzione ottimale di un compito prescritto dalla legge e in ottemperanza al principio di legalità. In terzo luogo, perché non porsi il quesito speculare: l’assimilazione del modus inquirendi da parte del giudice, è necessariamente un fattore positivo o conforme al dettato costituzionale vigente? Quali effetti sistemici genera l’attuale contaminazione tra le due funzioni? Quarto interrogativo. In un mondo contemporaneo che accelera verso la specializzazione, una formazione legale pressoché indifferenziata è ancora funzionale? Quinto punto. Se il pubblico ministero è veramente imparziale, quale ruolo devono svolgere il giudice per le indagini preliminari e il giudice dell’udienza preliminare? E se, di contro, non lo è, quali correttivi codicistici o costituzionali predisporre?
Conclusioni
È opportuno, persino fisiologico, che la politica del diritto sollevi un dibattito, anche acceso e aspro, intra ed extra parlamentare. Invece è sbagliato, financo patologico, che una questione costituzionale venga ammantata di significati ultronei, inconferenti o irrilevanti in rapporto al thema decidendum. Il più che probabile referendum costituzionale a cui i cittadini italiani dovranno rispondere non deve trasfigurarsi in un’ordalia tra opposti fanatismi, come purtroppo è spesso avvenuto in passato. L’obiettivo primario del presente articolo è dunque anzitutto un invito alla ragione, a preservarla e a coltivarla. Si stagliano già dalla nebbia parolaia potenti incantatori, abili piazzisti di tartuferie, i quali hanno iniziato da tempo a tessere le loro infide trappole confusive. L’esortazione ai lettori, nonché futuri elettori, è di non lasciarsi trascinare dalla retorica compiacente, dalle carezze seducenti della mozione degli affetti; di non farsi abbacinare da ben confezionati dettati ipnotici, di resistere al richiamo del bisogno affiliativo facendo prevalere su di esso l’appagamento cognitivo.
Le caricature smaccate, le battute irriverenti, gli slogan più puntuti, recano sicuramente profitto a chi se ne fa corriere e promotore. La drammatizzazione e l’estremizzazione imperano. Resta da comprendere, tuttavia, quale giovamento o utilità ne possa sortire al servizio della Giustizia e all’autorevolezza della Magistratura.







